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Livorno, aneurisma rotto a 83 anni: rifiuta l’intervento, poi la operano e salvano

di Martina Trivigno
Un intervento (foto d'archivio)
Un intervento (foto d'archivio)

L’operazione è stata ibrida, per via endovascolare ma anche con accesso chirurgico

23 ottobre 2024
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LIVORNO. Una corsa contro il tempo per salvare la vita di una donna grazie a un intervento all’avanguardia messo a punto dall’Unità operativa complessa di Chirurgia vascolare dell’ospedale di Livorno, guidata dal direttore facente funzioni Gianluca Ceccanei.
Un rischio già individuato
È il 28 settembre scorso quando a una donna di 83 anni, residente a Pontedera, viene diagnosticato un aneurisma complesso dell’aorta toraco-addominale in fase di rottura. Ma facciamo un passo indietro. «In realtà alla signora era già stato consigliato un trattamento chirurgico per questa patologia in tempi non sospetti, ma lei aveva rifiutato – spiega il dottor Ceccanei – . Il 20 settembre, però, era andata al pronto soccorso della città in cui vive per la comparsa di alcuni sintomi. E lo ricordiamo: sono sintomi spesso subdoli quelli dell’aneurisma fino a quando non si rompe, determinando spesso un’emorragia massiva che porta alla morte del paziente. Nell’oltre il 50% degli aneurismi rotti, il paziente non arriva in ospedale e, quando ci arriva, la probabilità che superi l’intervento e il periodo peri-operatorio è molto più basso della probabilità di sopravvivenza che questi ha se viene trattato in elezione».

Fondamentale, quindi, è giocare d’anticipo o almeno arrivare in tempo. Nel caso dell’83enne, la paziente lamentava un dolore addominale e la Tac ha confermato che, rispetto a quando era stato controllato alcuni giorni prima, l’aneurisma si era già modificato. «E quando questo succede è il segno di un’imminente rottura- spiega il primario – . Ci chiamarono allora la sera stessa dall’ospedale di Pontedera, ma la signora rifiutò di nuovo l’intervento chirurgico. Il 23 settembre i sintomi si erano esacerbati a seguito di una rottura tamponata. Ecco, in questo caso l’intervento in emergenza diventa molto più complesso e rischioso che in elezione: questi aneurismi, che fino a qualche anno fa venivano trattati solo per via chirurgica classica, ora possono essere operati anche per via endovascolare o ibrida con delle endoprotesi che vengono costruite su misura e che richiedono un tempo di attesa di quattro-sei settimane».

L’operazione scelta 

Un tempo su cui, però, il dottor Ceccanei e la sua équipe non potevano contare vista la gravità della paziente. «Abbiamo quindi optato per una protesi off the shelf, pronta da usare, che ha un raggio di utilizzo che non è “sartorializzato” sul paziente e che quindi lascia delle difficoltà tecniche di impianto che sono molto più importanti – prosegue – . In sostanza è una protesi ramificata, con diversi bracci, di solito quattro, uno per ogni arteria viscerale. La difficoltà di ingaggio e di rivascolarizzazione diventa più importante in questo caso, ma non avevamo altra scelta. Un altro problema è stato rappresentato dalle vie d’accesso: queste protesi vengono impiantate per via endovascolare, di solito attraverso le arterie femorali, o con un piccolo taglio o con un accesso totalmente percutaneo. La paziente però, aveva arterie di piccolo calibro (di circa cinque millimetri) che non permettevano il passaggio della protesi. In questi casi si utilizza una tecnica ibrida che prevede un accesso chirurgico, l’esposizione di un’arteria più grossa, di solito l’iliaca comune alla quale viene connessa una protesi chirurgica in modo da saltare la parte più piccola delle arterie femorali e poter entrare direttamente nell’aorta attraverso un’arteria più grande. E questa opzione rappresenta un gesto tecnico più lungo e più complesso».
Ma l’intervento, che è durato circa cinque ore, è ben riuscito. «Il punto di partenza sono state le buone condizioni di salute dell’83enne – conclude il primario – . È stato poi provvidenziale l’intervento del dottor Meini, direttore facente funzione dell’unità di medicina di Pontedera, che con empatia è riuscito a spiegare quali sarebbero stati i pro e i contro e alla fine, dopo diversi giorni, a convincere la paziente. Dopo l’intervento è stata trasferita in terapia intensiva, poi il dottor Meini l’ha ripresa in carico in Medicina a Pontedera. Questi interventi dimostrano come Livorno abbia le competenze e le professionalità per offrire un servizio di eccellenza, dove il paziente è posto al centro e dove le reti intra ed interospedaliere, assieme a una medicina personalizzata, fanno la differenza»



 

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