Al queer non si comanda (e la società è più libera): da Oscar Wilde ai giorni nostri, il dibattito politico e sociale
Spesso il termine è usato in modo dispregiativo oppure senza cognizione di causa
Nel dibattito contemporaneo non è raro sentire termini come “gender” e “queer” utilizzati da opinionisti, politici e studiosi, ma per molti il reale significato rimane oscuro, influenzato da accezioni spesso approssimative o perfino del tutto errate.
Il termine “queer” compare per la prima volta già nel XIX secolo, utilizzato in modo dispregiativo nel processo che porterà all’incarcerazione di Oscar Wilde, a indicare una non-conformità, una stortura (potrebbe infatti derivare dal tedesco “quer”, “di traverso”).
Solo alla fine del Novecento, con l’attivismo e la diffusione dei primi studi di genere, queer andrà ad indicare la rivendicazione di orgoglio della comunità Lgbtq+. Negli ultimi anni ad occuparsi del tema è stata la scrittrice e attivista Michela Murgia, scomparsa nel 2023. In “Dare la vita”, saggio postumo che affronta con sensibilità i temi di identità, maternità e famiglia, Murgia afferma che il potere della Q di Queer è proprio quello «di non esaurire mai gli interrogativi».
Che cosa ci dice la scienza
Il dibattito scientifico che si è profuso sui temi dell’identità di genere negli ultimi decenni è molto vasto e assume varie posizioni, ma gli studiosi convergono nell’affermare che l’identità di genere non sia necessariamente correlata al sesso biologico. In uno studio del 2019 di Anne Fausto-Sterling, docente di biologia e studi di genere alla Brown University, emerge come in età infantile e adolescenziale concorrano numerosi fattori alla formazione del genere di un individuo. Il sesso cromosomico rappresenta solo una delle numerose variabili; si aggiungono ad esempio le dinamiche nel rapporto tra figlio e genitore, la cognizione incorporata (ossia il contributo del corpo alla percezione del mondo e di noi stessi) e i fenomeni della psicologia dello sviluppo.
Il queer che fa paura
La realtà che ci circonda è ben distante da considerare queste tematiche come significative, e la politica spesso si esprime in merito solo per fomentare fenomeni di odio e propaganda, senza attenersi a dati scientifici. Lo scorso dicembre l’Università di Torino ha annunciato un corso in Queer studies, volto ad approfondire in chiave multidisciplinare la teoria queer con contributi di docenti internazionali. La reazione della politica è stata immediata: il leghista Rossano Sasso ha criticato la scelta, sostenendo «l’evidente volontà di indottrinamento dei più giovani che l’agenda arcobaleno vorrebbe imporre». Il professor Antonio Vercellone, titolare del corso, ha risposto evidenziando l’infondatezza dell’affermazione: la finalità del corso è approfondire in chiave scientifica e culturale il fenomeno queer, non certo indottrinare.
Vivere queer
Queer è un sentimento, una rivendicazione, ma soprattutto un modo di vivere con noi stessi e con gli altri: è la migliore prospettiva che ci è data per sfuggire alla tendenza alla sistematizzazione e alla categorizzazione del nostro sentire. Vivere la nostra identità liberamente è il modo migliore per costruire, a partire dai nostri sentimenti più intimi, una società davvero libera e accogliente. Ogni individuo è per natura mutevole: vivere liberamente la propria identità è dunque l’unica via percorribile per aderire autenticamente a noi stessi. Come si afferma in “Dare la vita”, «non avrò bisogno di fuggire, se non cercherai continuamente di ficcarmi dentro una gabbia».
*Studente, 18 anni, del liceo XXV Aprile di Pontedera