Il Tirreno

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L’intervista

Carlo Mearelli: «Porti e logistica hanno bisogno di un vero piano industriale»

di Maurizio Campogiani

	Carlo Mearelli
Carlo Mearelli

Parla il presidente della Federazione europea dei manager dei trasporti sull’attuale situazione della portualità

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LIVORNO. È un momento chiave per il presente e per il futuro dei porti italiani. Stanno per arrivare le nomine in gran parte delle autorità portuali e sembra imminente la presentazione dell’ennesima legge di riforma del settore. Ne abbiamo parlato con Carlo Mearelli, attualmente presidente della Federazione europea dei manager dei trasporti, con sede a Parigi. Ha ricoperto incarichi di amministratore in aziende pubbliche e private in Italia e all’estero. Precedentemente, è stato presidente di Assologistica e membro del board dell’Osservatorio dei trasporti e della logistica del Politecnico di Milano. Mearelli era stato tra i papabili a diventare presidente all’Autorità Portuale di Civitavecchia quattro anni fa, poi la politica aveva scelto diversamente. Nel novembre scorso aveva risposto alla manifestazione di interesse del Ministero, ma poi ha ritirato la propria candidatura. Può quindi parlare senza avere alcun interesse di carattere personale.

È un momento particolarmente importante per la portualità nazionale, visto che si sta decidendo la nomina di gran parte dei presidenti delle autorità. Come vede questa fase, che arriva peraltro in un momento in cui le economie mondiali appaiono sotto stress?

«Voglio innanzitutto ringraziarla per questa occasione offerta e le premetto che lo faccio spinto da un profondo dovere morale e professionale per il mio Paese, cercando di contribuire nell’esperienza maturata a un dibattito cruciale per l’economia italiana. I porti per definizione non hanno confini, se non quelli planetari, e nel contempo rappresentano un paese che si proietta all’esterno, in questo caso attraverso il mare, ma lo stesso vale per gli aeroporti. Non vi è confine, ed è sterile ragionare in termini nazionali, figuriamoci a livello locale. Ogni fase di stress rappresenta una minaccia, ma anche un’opportunità; è semplicemente un riallineamento alla realtà che viviamo nel momento, e che fornisce, per chi ha voglia e capacità di cimentarsi, nel trovare nuove soluzioni, nuovi equilibri nella crescita. Per capirci roba da adulti con la “A” maiuscola».

Il Governo ha annunciato più volte l’intenzione di andare a una ennesima riforma della legislazione sui porti. Si parla della possibile creazione di una struttura simile all'Enav e all'ingresso del capitale privato nelle autorità portuali. Cosa ne pensa?

«La Politica, con la P maiuscola, ha il dovere di immaginare il futuro e di programmare l’orizzonte oltre le legislature e i governi, si tratta di roba delicata che incide sul futuro delle persone e delle aziende, delle loro aspettative, del loro progresso e benessere. La politica è sintesi di interessi e pensieri diversi, ma proprio perché è forse l’espressione più alta dei sentimenti di una nazione nel suo complesso, non dovrebbe essere strattonata ad ogni cambio di legislatura o, peggio, al cambio di ogni governo. La stella polare è lì da sempre. Tornando alla domanda, in questo benedetto Paese siamo innamorati della moltiplicazione, dell’addizione, ma mai della divisione e del segno meno. Più Autorità, più enti, più poltrone e via andando. Il risultato non lo giudico, mi limito a osservarlo. Mi auguro non sia un’occasione perduta nelle logiche spartitorie. Piuttosto mi è difficile comprendere come sistemi interconnessi tra di loro come i trasporti, possano continuare a ragionare per compartimenti modali. Il mare dialoga con la ferrovia e con la strada; l’aereo dialoga in alcuni segmenti con il mare e sempre con la ferrovia e la strada, eppure continuiamo ad avere una visione separata. Qui non serve una autorità del mare o dell’aria, serve uno strumento che unisca le modalità e le faccia dialogare in una visione nazionale, europea e globale, iniziando dai grandi centri di metropolitani con reali interconnessioni modali. Riguardo l’eventuale processo di privatizzazione dei porti, al pari degli aeroporti, delle strade e delle infrastrutture strategiche di un Paese sano, ci andrei con molta cautela. Viviamo momenti complessi sotto molti aspetti. È molto vivo in me il periodo del lockdown dovuto al Sars-Covid, periodo nel quale ai nostri occhi sono sfilate immagini che mai avrei voluto vedere. Andavamo mendicando mascherine ed altri dispositivi, pur disponibili sul mercato, ma noi non avevamo una compagnia aerea di riferimento che li trasportasse, ed oggi la scelta fatta non mi convince affatto. L’Italia è un Paese produttore netto di esportazione di beni e grande attratte di turismo, siamo una potenza mondiale, che sta delegando a paesi terzi la propria ricchezza; badi bene parlo di ricchezza e non di sovranità. Quello della sovranità è un altro tema che meriterebbe pagine. Non avere una compagnia aerea è una totale sciocchezza. Tutti ad urlare alle perdite di Alitalia, e nessuno a capire che quell’asset è strategico in pace come in momenti difficili quali quelli emergenziali. Gli ingressi in settori strategici dei privati sono fondamentali, ma vanno presidiati a regole certe e con controlli e accessi trasparenti. Il passato ci è di insegnamento».

A suo giudizio di cosa hanno maggiormente bisogno in questo momento il mondo della logistica e quello portuale?

«Di autorevolezza da parte dello Stato, di un indirizzo strategico, di un piano industriale Paese, e soprattutto di chiarezza nelle norme: sembrano scritte per alcuni eletti. Più la norma è semplice, meno facciamo lavorare gli organi inquirenti, che debbono svolgere la loro funzione. C’è grande confusione, c’è paura. Le aziende medio piccole per sopravvivere debbono esporsi a pratiche complesse. Tutto questo è il frutto delle gare al massimo ribasso, che ancora sono rimaste nella testa di molti. Più ribasso non significa più risparmio, ma amplia il mercato al crimine. Qui ognuno va per la sua strada, ma il gioco ripeto è globale, e per fare questo servono attori con elevata massa critica, il piccolo è bello, mi spiace dirlo, non funziona: lo solo per chi ha il timore della crescita».

Lei aveva presentato quattro anni fa la candidatura all’Autorità Portuale di Civitavecchia. Come vede la situazione del Porto di Roma?

«Il Lazio è la seconda Regione italiana per prodotto interno lordo, è sede della Capitale Italiana, ha un tessuto imprenditoriale, in molti casi strategico per il Paese. Il Comune di Civitavecchia, e la stessa Autorità portuale “vive” nei pareggi di bilancio di sussidio Enel, ed Enel al 31 dicembre di quest’anno spenge gli impianti e le relative prebende/compensazioni. Quattro anni fa, è vero presentai la mia candidatura per l’Autorità, consapevole di un impegno non esclusivamente legato in senso stretto al porto, ma come ho detto in precedenza, in una visione ampia dei temi da risolvere e sviluppare in un territorio a rischio default. Serve una visione per l’intera Area, al netto della presenza di un gigante industriale quale Enel. Serve visione, servono idee industriali chiare, non solo per Civitavecchia, ma per realtà quali quelle di Fiumicino e Gaeta. Questo tema non è da sottovalutare; sento parlare di localismi, di conoscitori del territorio. In totale franchezza le dico che tali spinte sono esclusivamente dettate da chi ha necessità che si mantenga lo staus quo, siano aziende o singoli personaggi. So che quanto dico non mi farà amici, poco importa. Le aggiungo che nello stesso spirito di quattro anni fa, ho avanzato la mia candidatura lo scorso anno a novembre, e come in precedenza, solo ed esclusivamente per l’Autorità Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale, che letto ai miei occhi è l’Autorità di sistema complesso di Roma Capitale. Ho ritirato la mia candidatura alcune settimane fa».

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