Intelligenza artificiale, ai compiti a casa ci pensa ChatGpt. Il docente: «I consigli per trasformarla in opportunità»
Il prof di Economia comportamentale alla Scuola Imt di Lucca: «Insegniamo agli studenti a criticarla e a trovarne gli errori»
LUCCA. Approfondire la storia d’Italia, studiare latino già dalle scuole secondarie di primo grado, leggere la Bibbia al pari dei grandi testi della letteratura antica e moderna. Un assaggio della scuola che cambia o che vuole cambiare sulla base delle indicazioni arrivate dalla commissione ministeriale per la stesura dei nuovi programmi scolastici. E il dibattito su cosa sia meglio insegnare si è già infiammato. La questione, però, forse è anche un’altra. A prescindere dal fatto che sia giusto, utile o tutto il contrario che a 12 anni si legga in latino della congiura di Catilina direttamente dalle pagine di Gaio Sallustio Crispo, se quelle pagine diventano il compito per casa tradotto non dall’alunno ma da ChatGpt abbiamo tutti un problema.
Quello di una generazione che si fa risolvere i problemi da un’intelligenza artificiale. È anche vero, però, che dietro ogni problema c’è un’opportunità, come scriveva Galileo Galilei. E a prenderlo alla lettera, Galilei, c’è Ennio Bilancini, docente di Economia comportamentale alla Scuola Imt di Lucca e prorettore con delega a open science, orientamento e intelligenza artificiale. È anche coordinatore scientifico del master in “Leadership leggera e innovazione nelle organizzazioni scolastiche e della formazione” nell’ambito del quale sono state promosse, a Lucca, le “Giornate di approfondimento sulla leadership leggera” rivolte a dirigenti scolastici, aspiranti tali e docenti alle prese con una missione: rendere la scuola meno pachidermica, innovare attraverso una guida autorevole e strategie motivazionali, imparare a sfruttare quello che la tecnologia, a cominciare dall’intelligenza artificiale, mette a disposizione.
Professore, sgombriamo il campo: l’intelligenza artificiale a scuola è un problema o una opportunità?
«Entrambe le cose, il problema risiede soprattutto nel fatto che l’Ai automatizza moltissime attività che normalmente vengono richieste agli studenti. Anzi. Molte attività possono essere fatte meglio dall’Ai, specie dall’Ai generativa che combina contenuti esistenti in un nuovo formato. In pratica si può sfruttare l’Ai per costruire da zero testi, foto, risolvere problemi. E difficilmente l’utilizzo dell’Ai da parte dello studente potrà essere contrastato essendo di ampissimo accesso e a costi sempre più bassi. Non solo, la qualità del risultato è tale per cui è ragionevole pensare che tra qualche anno sarà complicato monitorarne l’uso, sarà cioè difficile distinguere tra cose fatte dallo studente e quelle per le quali si è ricorsi a un supporto parziale o totale dell’intelligenza artificiale generativa. È un problema vero ma proprio per questo anche un problema che bisogna mettere da parte: non esistono soluzioni. Per questo dobbiamo cogliere l’opportunità che si traduce nell’inquadrare l’Ai in ottica di sistema attraverso un totale cambiamento del modo di lavorare. Ci si può attendere che in futuro chi lavora producendo contenuti usi l’Ai. Già noi ricercatori intratteniamo dialoghi per migliorare successioni, chiarire punti, migliorare uso della lingua e così via. L’Ai viene sistematicamente utilizzata per elaborare un prodotto che è umano, progettato e costruito dall’intelligenza umana. Se questo sarà il futuro per la produzione di contenuti allora deve cambiare il modo in cui insegniamo le cose, in particolare usando competenze proprie, umane, per massimizzare il risultato dell’interazione tra umano e Ai. In questo il ruolo cruciale lo riveste la critica, la capacità di innovare oltre l’esistente. L’intelligenza artificiale prende quello che esiste e lo ricombina, invece intelligenza umana è addestrata a innovare».
Prendiamo il caso di un compito a casa: “Lo studente scriva un tema su...”. Cosa significa in concreto usare le competenze umane insieme all’Ai?
«Invece di chiedere a studente di scrivere un tema su come ha passato il fine settimana, si chiede all’Ai di farlo, magari in due o tre versioni diverse, e poi chiediamo allo studente di criticare il tema, spiegare secondo lui dove l’Ai ha sbagliato, come ha usato la lingua. Questo ribaltamento fa capire come si può utilizzare questo strumento in un modo formativo: lo studente impara a scrivere. Così l’Ai viene utilizzata per produrre contenuti in modo indipendente e creativo».
Da dove può partire questo “ribaltamento”, come lo definisce?
«Nella realtà quotidiana studenti e in parte anche docenti usano già l’Ai: partiamo da lì, dall’uso fatto nella quotidianità che crea di per sé competenze, per insegnare cosa fa l’Ai e come non prendere “fischi per fiaschi”, per capire qual è il valore di qualità, alto ma non totale, di questo strumento. È un primo passo molto semplice, perché vicino al modo in cui si insegna attualmente».
La scuola italiana è pronta a un passo del genere?
«La nostra scuola ha il potenziale per farlo. Sulla prontezza bisogna vedere caso per caso, c’è grandissima eterogeneità nel nostro Paese».
Non corriamo il rischio di allevare generazioni che non sono in grado di scrivere o risolvere problemi da soli?
«Faccio un esempio sportivo. Se avessimo un esoscheletro o un meccanismo che ci permettesse di muoverci senza alcuno sforzo e ci affidassimo solo a questo saremmo limitati al recinto delle cose che l’esoscheletro riesce a fare. Ma se siamo degli sportivi potremmo usare l’esoscheletro per migliorare le nostre prestazioni e fare cose... sovrumane».
In questi giorni si discute di revisione dei programmi nelle scuole. Si dovrebbe studiare di più il funzionamento dell’Ai?
«Domandiamoci cosa ci permette di fare l’Ai generativa: automatizzare l’analisi dei dati e dei contenuti, ricombinare i contenuti. E tutto questo richiede pochissima attività tecnica, ma tante idee e un sistema culturale di riferimento per valutare criticamente il risultato. Non servono tanto abilità “Stem”. Per usare al meglio l’Ai servono competenze di natura culturale, sociale, una visione e una competenza più olistica: dobbiamo essere più simili a Leonardo da Vinci che a Einstein».