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Il caso

Grosseto, trovati resti umani dagli operai durante i lavori: il mistero, la scoperta e quel filo con il passato – Video

di Matteo Scardigli
Un momento dello scavo (foto Agenzia Bf)
Un momento dello scavo (foto Agenzia Bf)

Sono emersi durante gli scavi per il nuovo edificio in via Saffi: affidati alla medicina legale di Firenze

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GROSSETO. La pala meccanica affonda nel terreno sopra il quale sorgeva l’ex anagrafe e prima ancora l’ex ospedale Misericordia; l’obitorio, per essere precisi. Siamo in via Saffi, dove il Comune vuole costruire un edificio multifunzionale e sostenibile, in grado di rispondere alle esigenze abitative e sociali di una comunità urbana in evoluzione in seno al progetto “Ri-Abitare Grosseto: la via dell’identità e dell’innovazione”, finanziato attraverso il programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare (Pinqua).

È un freddo venerdì – venerdì 17 (gennaio), a voler pensare male – ma l’area degli scavi è qualche metro sotto il livello della strada, riparata dal vento, e in cielo non si vede una nuvola. Una giornata ideale per lavorare. Una giornata come tante, almeno finché la pala meccanica non porta alla luce qualcosa di insolito, che normalmente non si trova in un cantiere: frammenti di ossa.

La scoperta

A fare la scoperta, neanche mezzo metro sotto terra, è Matteo Penco, grossetano di 30 anni, diplomato all’ex Rosmini e laureato a Firenze. In via Saffi è l’addetto alla sorveglianza archeologica, quello che se viene alla luce un manufatto di possibile rilevanza storica alza la mano e blocca tutto. Penco alza la mano, chiama l’ingegner Roberto Bigliazzi: il Cse, il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione. Quattro occhi sono meglio di due, ma non c’è dubbio: frammenti di ossa, animali ma anche umane, mischiate insieme. Quello è un pezzo di cranio.

Le telefonate

Sul posto la polizia di Stato e la scientifica: quelle ossa sono appartenute a qualcuno, forse anche la vittima di un delitto. L’ipotesi di un cold case, un caso irrisolto come lo chiamano gli americani, non può essere scartata a priori. Lì vicino, poi, c’è la casa circondariale. Le suggestioni si sprecano, e arriva anche l’ispettore. Viene informato il Comune, nella persona dell’assessore ai lavori pubblici Riccardo Ginanneschi: la giunta Vivarelli Colonna punta molto sul nuovo edificio multifunzionale e sostenibile, la questione è delicata e bisogna gestirla per bene, senza lasciare nulla al caso. Riparati dal portellone del portabagagli dell’auto di servizio, parcheggiata ai piedi della scala di sicurezza del Polo universitario (l’edificio, dall’altro lato, affaccia sul giardino archeologico), gli agenti si fanno spiegare da Penco tutti i dettagli: come li ha trovati, cosa stava facendo quando li ha trovati e cosa ha fatto dopo; e lui risponde. Un elemento, in particolare, è dirimente per i poliziotti: la probabile datazione.

Le ossa

Le ossa, infatti, si presentano in uno stato di conservazione relativamente buono: saranno lì, si stima su due piedi, da qualche decina di anni. Sicuramente non sono prove di un fascicolo aperto di recente, quindi cambia tutto. La competenza passa alla polizia municipale, ma c’è un problema: a Grosseto, almeno a memoria d’uomo, un ritrovamento simile non c’è mai stato. Non c’è, quindi, una procedura operativa standard da prendere e seguire, una di quelle applicate mille volte in automatico. Bisogna pensarci ancora un poco. Anche perché le ossa sembrano vecchie, ma non così vecchie. A prima vista non hanno, cioè un valore archeologico. Vero è che nei dintorni c’erano stati dei cimiteri, prima che l’editto di Napoleone bandisse le sepolture all’interno dei centri urbani; ma non in quel punto.

Lì c’era stato l’obitorio, e magari quei resti sono semplicemente caduti a un infermiere tanti anni fa; o magari ci sono stati messi di proposito, chissà perché. Le telecamere di videosorveglianza sarebbero arrivate solamente molti anni più tardi. Nel frattempo i ritrovamenti sono stati messi in una busta di plastica trasparente per conservarli meglio. Una busta appoggiata lì per terra in attesa che qualcuno decida cosa farne. Comune, Municipale e polizia passano un bel po’ di tempo a discuterne, mentre fanno avanti e indietro nell’area di scavo, scattano foto e fanno altre telefonate.

Alla fine si trova la quadra: i resti devono andare a Firenze, al dipartimento di medicina legale. Sono pur sempre delle ossa, e se non appartenevano alla vittima di un delitto sono certamente appartenute a qualcuno; qualcuno che merita sicuramente una degna sepoltura, e che magari ha ancora una famiglia, degli eredi da informare del ritrovamento. Viene incaricata Sistema, a spese del Comune e in sinergia con la polizia municipale. Ora c’è da capire come muoversi con il cantiere, che deve andare avanti. Nel frattempo in città non si parla d’altro.

Cosa dice l’esperto

La prima ipotesi sul ritrovamento di ossa umane nell’area di cantiere all’ex anagrafe di via Saffi (oggi demolita) potrebbe essere quella giusta, ma questo lo potrà stabilire soltanto la datazione scientifica. Del resto, proprio in quel punto, c’era l’obitorio dell’ex ospedale Misericordia.

Ma la storia della città potrebbe celare altro. «Se le analisi dovessero confermare l’impressione che ha avuto chi era presente al cantiere, cioè che quelle ossa abbiano alcune decine di anni, è verosimile che possano anche appartenere a una vittima del bombardamento che si abbatté sulla città nel 1943 (la fortezza, della quale furono cancellati alcuni edifici, è proprio lì davanti); oppure del mitragliamento di quello stesso anno. Una persona che, ferita, aveva cercato lì un riparo», premette Pietro Pettini, decano degli architetti maremmani e profondo conoscitore della storia della città. Che poi aggiunge: «Nel caso in cui, invece, la datazione dovesse collocare quei resti in un’epoca antecedente (alla metà dell’Ottocento o anche prima), allora il quadro cambierebbe».

Un centro urbano vivo difficilmente lascia volumi abbandonati, vuoti tanto a lungo da permettere stratigrafie (tantomeno studi archeologici in senso stretto): le funzioni dei luoghi si intersecano, si sovrappongono e talvolta si dimenticano. Ma Pettini ricorda che «proprio lì c’era l’antico “ospedaletto delle donne”, realizzato grazie alla donazione dei conti Paglialunghi», e allo stesso modo che «in zona c’erano alcuni cimiteri, che cessarono di esistere a causa dell’editto napoleonico che vietava le inumazioni nei centri urbani: il primo fu quello dello Ximenes». Insomma, nessuna ipotesi è facile da scartare. All’analisi scientifica l’onere della risposta.

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