Una cattedra a 1.398 chilometri da casa, Cristina Grieco: «Ammiro quel giovane prof»
La nostra intervista all’ex assessora, oggi provveditrice, propone gli stati generali della scuola
LIVORNO. Cristina Grieco, in oltre trent’anni di carriera nel mondo dell’istruzione, ha guardato la scuola da tutte le angolazioni: docente, preside, assessora regionale, presidente di Indire, l’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, e oggi, provveditrice agli studi della provincia di Livorno. Ma la storia del professore di matematica e scienze che si trasferisce a 1. 398 chilometri da casa, dalla provincia di Agrigento alla minuscola isola di Capraia, per avere una cattedra, ha avuto il potere di sorprenderla, innescando una serie di riflessioni su graduatorie e criticità. Ma anche sulle possibilità intorno ai banchi e all’importanza di un’alleanza tra docenti e genitori. E infine sulla necessità di organizzare gli stati generali della scuola per renderla finalmente contemporanea rispetto alle esigenze del presente.
Provveditrice, 1.398 km per una cattedra, che effetto le ha fatto leggere la storia del professor Bilello?
«Da donna di scuola, da una parte c’è tutta l’ammirazione per un laureato che fa una scelta di vita non comoda pur di dedicarsi all’insegnamento, professione che va fatta per e con passione. Dall’altra fa molto riflettere perché questo giovane docente ha risposto ad un bando per una cattedra in un luogo isolato seppure bellissimo e che sono certa rimpiangerà alla fine di questa esperienza. Questo ci fa interrogare sulla situazione di tanti giovani, che non sempre hanno le opportunità che meriterebbero. Ecco perché chi ha intenzione di intraprendere questa strada preferisce andarci pari a livello economico per fare punteggio e scalare le graduatorie. Ecco perché provo ammirazione, ma anche un po’ di dispiacere».
Il trasferimento del professor Bilello è stato possibile grazie alle graduatorie concepite su scala nazionale. A suo avviso questo modello è un limite o una risorsa?
«Io la vedo come una possibilità, non solo perché in alcune regioni ci sono difficoltà a reperire docenti di discipline scientifiche e questa organizzazione aiuta, ma anche perché la dimensione nazionale del nostro sistema di istruzione è un grande valore. È ancora un filo rosso che lega il Paese. Il fatto che ci sia la possibilità di mobilità e dunque di fare scelte di vita legate alla scuola anche in luoghi diverse dal tuo è un valore aggiunto. Da piccola, essendo figlia di un dirigente aziendale, mi sono spostata in tutta Italia. E nella scuola ho sempre trovato continuità e omogeneità di offerta formativa. C’erano insegnanti del posto e altri che venivano da luoghi diversi. Personalmente non vedo di buon occhio la regionalizzazione del personale scolastico. Ovviamente capisco i sacrifici, anche di questo ragazzo. Ma questo arricchirà sia lui che la scuola».
Non certo da un punto di vista economico. Con 1.100 euro si sopravvive dovendo pagare affitto, utenze e tutto il resto. Forse non è il caso nella scuola, come accade nella sanità e in magistratura, di agevolare a livello economico chi lavoro in zone disagiate, mi passi il termine?
«Non c’è mai stata una indennità per casi simili. Addirittura quando ho iniziato a insegnare c’era l’obbligo di residenza nella zona dove prestavi servizio. Comunque può essere un tema su cui riflettere. Quello di Capraia è un caso limite, ma pensiamo ai tanti insegnanti che in provincia di Livorno fanno i pendolari ogni giorno con l’isola d’Elba, si tratta di situazioni disagevoli senza alcun rimborso».
Se le chiedo: come sta la scuola?
«Nella scuola c’è tutto: esperienze meravigliose, la passione di docenti e non docenti, e criticità, difficoltà anche dovute alle fragilità dei ragazzi in questo contesto. Tra le problematiche c’è senza dubbio l’edilizia scolastica, soprattutto negli istituti superiori che necessitano di investimenti ingenti. Purtroppo la competenza di questo è delle provincie che non hanno né risorse né strumenti per affrontare questa emergenza».
E poi?
«Andrebbe ripensato il modello di scuola nella sua sostanza. Oggi è bastato su una società e un modello che non esistono più. Va ripensato il tempo scuola, mettere dentro l’attività fisica, rivedere ambienti e la didattica stessa che troppo spesso è ancora di tipo frontale, trasmissivo. Invece i ragazzi hanno bisogno di essere protagonisti, attivi».
Esiste una ricetta?
«Sicuramente la scuola non ha bisogno di ulteriori tagli: meno studenti, meno spesa è una equazione che dà un risultato sbagliato. Credo sia il momento giusto per una riflessione profonda, serve organizzare una sorta di “stati generali della scuola” ai quali partecipino tutte le componenti. È necessario rinsaldare il patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia. I ragazzi non stanno bene, sono fragili, è importante che suola e famiglia vadano nella stessa direzione per il bene dei giovani. Ecco perché auspico una riforma vera che non sfoci nell’ennesimo cambiamento dell’esame di Stato, ma in un ripensamento del modello e della funzione della scuola».