Prato, giovane costretta a rapporti sadomaso da cui poi è nato un bambino
Dalla denuncia della ragazza è scaturito il processo nei confronti di due presunti violentatori
PRATO. Legata mani e piedi, imbavagliata, costretta a rapporti sessuali sadomaso, dai quali poi è nato un bambino. Questo il terribile racconto di una ragazza poco più che maggiorenne che ha dato origine a un processo per violenza sessuale che ora vede imputati due uomini, un piccolo imprenditore di 59 anni e un suo amico un po’ più giovane, entrambi residenti a Prato (non ne facciamo i nomi anche per non rendere riconoscibile la parte lesa).
I fatti risalgono al 2017 e sono emersi più tardi grazie alla denuncia che la giovane ha presentato insieme ai genitori contro i suoi presunti violentatori. Che in origine erano tre, ma nel frattempo un dipendente del principale imputato, il piccolo imprenditore di 59 anni, anche lui indagato per lo stesso reato, ha scelto di farsi processare col rito abbreviato ed è stato assolto.
Il processo con rito ordinario è entrato nel vivo venerdì 4 aprile con la testimonianza di una zia della parte lesa, che è assistita come parte civile dall’avvocato Eugenio Zaffina. La donna ha tratteggiato il carattere della nipote e ha confermato di aver ricevuto dalla giovane alcune confidenze sui rapporti sessuali avvenuti coi due imputati. Rapporti in cui a un certo punto compariva anche un frustino.
Stando alla denuncia presentata dalla giovane, i rapporti sessuali sarebbero avvenuti sia nell’ufficio del piccolo imprenditore, sia in un camper di proprietà dell’amico. In entrambi i luoghi la ragazza sarebbe stata sottoposta a pratiche di sesso estremo.
La consulenza del neuropsichiatra
Il fatto che questi rapporti ci siano effettivamente stati non sembra essere in discussione. Ma i due imputati, come accade spesso in processi di questo genere, sostengono che la ragazza era consenziente. Lei invece dice di essere stata in qualche modo obbligata o soggiogata. Per questo a un certo punto del procedimento si è resa necessaria una consulenza affidata al neuropsichiatra bolognese Renato Ariatti, lo stesso che ebbe un ruolo nel processo per il delitto di Cogne. Bisognava capire se la ragazza, che ha qualche problema di relazione, fosse in grado di testimoniare. Il professor Ariatti ha concluso in senso positivo e la giovane ha ripetuto in aula, davanti al pubblico ministero Valentina Cosci, le sue accuse, circostanziandole.
Il racconto della donna
In sostanza i due imputati, secondo la sua versione, si sarebbero approfittati del suo stato inducendola a pratiche che lei in realtà non voleva. Lei li avrebbe conosciuti occasionalmente: a fare da tramite sarebbe stato il dipendente del piccolo imprenditore (sposato e con figli). In alcune occasioni le avrebbero prospettato una specie di carriera: «Vieni con noi, poi se sei brava ti facciamo fare degli spettacoli».
In seguito a uno di questi rapporti sessuali la ragazza, che era da poco diventata maggiorenne, è rimasta incinta. A quel punto i genitori hanno realizzato che era successo qualcosa di grave e la giovane è stata sistemata in una casa di accoglienza fuori dalla Toscana. In quel periodo ha maturato la decisione di denunciare quanto le era accaduto. Il bambino è nato ed è rimasto con la madre.
Sarà un processo lungo e difficile, perché non ci sono molti altri elementi fattuali oltre al racconto della parte lesa. Dovranno sfilare altri otto testimoni della pubblica accusa, poi toccherà alla difesa.