Assolti dopo lo stupro di gruppo, per il giudice «valutarono male il consenso». Eppure lei disse: «Smettetela»
Il giudice: «Fraintesa la volontà della ragazza». La sentenza in un paese che non fa i conti con la cultura della violenza
«Smettetela, smettetela». Non si ricorda più quante volte lo dice ai ragazzi. Si confonde anche, quando la sentono gli investigatori. Le chiedono di ripetere dettagli dell’aggressione di continuo. Eppure è lei la vittima. È lei che ha denunciato lo stupro alla festa di fine estate. Tre contro una. Dovevano essere amici. Con uno di loro aveva anche avuto un flirt. Per il giudice di Firenze che firma la sentenza di assoluzione è un elemento a suo svantaggio. Alla fine delibera che i ragazzi l’hanno presa contro la sua volontà, ma non l’hanno stuprata. Hanno solo frainteso la sua volontà. Anche se implorava “Smettetela, smettetela”. Anche se uno di loro, ridendo, diceva “Questo è uno stupro” e l’amico, gli rispondeva “No, no, vai tranquillo”.
Ha avuto ragione l’amico. Chissà cosa ne penserà di questa sentenza la Corte europea dei diritti dell’uomo. Già a maggio 2021 ha condannato la Corte d’Appello di Firenze per l’assoluzione di uno stupro di gruppo. Nessuna valutazione nel merito della decisione dei magistrati italiani: non ha detto, insomma, se i giudici hanno fatto bene o male ad assolvere i 6 imputati dello stupro della Fortezza da Basso. Ha, però, condannato lo Stato a risarcire (poco) la vittima perché la sentenza era stata emessa con motivazioni piene di pregiudizi contro le donne: le mutande rosse, il toro meccanico cavalcato alla festa estiva, il fatto che lei fosse bisex, avesse già avuto rapporti sessuali con uno o due del gruppo e che questo, di per sé, costituisse un implicito consenso per tutti.
Lo stupro della Fortezza da Basso avviene nel 2008. Quello denunciato da una ragazzina appena maggiorenne avviene nel 2018, anche se poi la sentenza di primo e ultimo grado è di marzo 2023 (a quattro anni dalla denuncia formalizzata nel 2019). In dieci anni, sembra che la cultura della violenza sessuale non abbia mosso un passo. Ci sono nuove leggi e soliti pregiudizi.
Inutile scendere nei dettagli dello stupro per il quale gli imputati sono stati dichiarati non responsabili. Alcuni elementi, però, sono fondamentali per capire meglio l’assoluzione decisa dal giudice, ma richiesta anche dal pubblico ministero perché i fatti non sono stati dimostrati oltre «ogni ragionevole dubbio».
Allora la ragazza va a una festa in casa di amici. Come tutti beve (soprattutto vino rosso), partecipando a un gioco. Fuma anche erba. A un certo punto non si sente bene. Fin qui le versioni più o meno combaciano tutte. Poi si comincia con il “lei dice-loro dicono”. Loro sono più attendibili, scrive il giudice in sentenza, lei meno. Sia perché nelle varie dichiarazioni si contraddice sulle varie prestazioni (viene sentita più volte in tre anni), sia perché trova poco credibile che la ragazza si ricordi con lucidità di aver detto di smetterla ai presunti aggressori (e anche altri dettagli), quando si dichiara in forte stato di alterazione. In realtà a impiantare il seme del dubbio nel giudice (guidato dal sacrosanto principio del libero convincimento) è un altro elemento: il comportamento “aperto” della ragazza. In particolare il fatto che la presunta vittima non solo avesse già avuto un rapporto sessuale con uno dei presunti aggressori, pochi mesi prima del presunto stupro, ma che non si fosse opposta neppure al fatto che questo rapporto venisse filmato con un cellulare dagli altri due.
Nelle motivazioni di assoluzione questo è riportato con chiarezza: «Non solo la persona offesa aveva avuto, nei mesi precedenti, dei rapporti sessuali con un imputato, con il quale, quindi, aveva un rapporto “intimo” e non conflittuale, ma tale rapporto era avvenuto in modo tale da poter essere percepito dagli altri imputati (basta guardare il filmato per comprendere la distanza ravvicinata alla quale era stato girato)... Ciò non può non aver influito nella determinazione, in capo agli imputati, della “falsa” convinzione della libera disponibilità della ragazza a qualsiasi tipo di rapporto».
Quindi il giudice riconosce che la disponibilità della ragazza fosse “falsa”, non reale. Fa di più. Sempre nelle motivazioni ribadisce che «la ragazza era in uno stato di alterazione più o meno accentuato e non appariva in grado di esprimere un valido consenso a un rapporto plurimo». Siamo al punto in cui un giudice, in un presunto caso di stupro, scrive che: 1) una ragazza non è in grado di dare un consenso consapevole; 2) che il consenso non si può dedurre da precedenti comportamenti (come già stabilito dalla Cassazione); 3) che la sua disponibilità è «falsa». E allora cosa fa? Assolve gli imputati, logico. Perché? Perché lei era stata tollerante a giugno, quando l’avevano ripresa con il cellulare mentre aveva un rapporto con uno di loro.
Ma il consenso di lei c’era o no? «Il problema è che tale consenso, laddove pure vi fosse stato, a settembre – fa notare il magistrato – sarebbe stato viziato... Tuttavia, gli imputati, anche perché condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante da un deficit educativo e comunque, frutto di una concezione assai distorta del sesso, hanno, quindi, errato nel ritenere sussistente il consenso della ragazza, quanto meno dopo i primi approcci». Ma lo hanno fatto – conclude il magistrato – ponendo «in essere una condotta certamente incauta, ma non con la piena consapevolezza della mancanza di consenso della ragazza o della sua preponderante alterazione psico-fisica». Anche se non se ne fossero accorti, comunque, continuano a farla bere perché«probabilmente l’ intenzione degli imputati era di facilitare la perdita di eventuale freni inibitori della ragazza ed approfittare della sua più facile disponibilità, che credevano sussistente. Tale errata percezione, se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenere penalmente rilevante la loro condotta, proprio per la presenza di un errore determinato da colpa». Anche se non è ancora chiaro, che cosa ci sia difficile da capire in un “no” . Nell’implorazione “Smettetela”. O nel gesto di rifiuto che compare in molti verbali: «Continuamente spostavo la testa da una parte all’altra perché non volevo fare sesso orale, anche se non avevo la forza di oppormi».l
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