Il Tirreno

L'intervista

Marco Masini, 60 anni e 10 Amori: «Il mio nuovo album e quella serata in discoteca, il più grande rimpianto»

di Luca Tronchetti
La copertina del nuovo album di Masini
La copertina del nuovo album di Masini

Il cantautore fiorentino ha venduto sette milioni di dischi in tutto il mondo e adesso ritorna con un lavoro realizzato a 7 anni di distanza dall’ultima volta

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Ha venduto sette milioni di dischi in tutto il mondo e adesso ritorna con un album realizzato a sette anni di distanza dall’ultima volta ( “Spostato di un secondo” del 2017) e che coincide con i suoi primi 60 anni compiuti lo scorso 18 settembre. Marco Masini, il cantautore fiorentino della “malinconoia” autore di brani memorabili come “Ci vorrebbe il mare”, “T’innamorerai”, “Raccontami di te”, “L’Italia”, presenta lunedì 7 ottobre alle 18 alla Feltrinelli di piazza della Repubblica a Firenze, – 34 anni dopo il suo primo lp dal titolo autobiografico – il nuovo progetto discografico che lo vedrà esibirsi live il 18 ottobre 2025 al Palasport di Roma, il 24 all’Unipol Forum di Milano e il giorno successivo al Mandela Forum nel capoluogo toscano. S’intitola “10 amori” il 33 giri di uno dei musicisti più amati degli ultimi 30 anni. Dodici brani che hanno come minimo comun denominatore l’amore, vero motore dell’esistenza e unica speranza del domani. «Un legame tra passato e presente, tra dolcezza e amarezza, un intreccio di periodi storici fatti di racconti, colori ed emozioni e vissuto in tutte le sue forme», spiega Marco Masini, nove partecipazioni al Festival di Sanremo vinto nel 2004 con il brano “L’uomo volante” e che nel 1990 ottenne il primo posto nella sezione delle nuove proposte. «L’amore per i genitori che prima non riuscivi a capire, quello per un figlio che non puoi vedere tutti i giorni per i tuoi errori giovanili che ti hanno allontanato dalla famiglia, per le grandi passioni della vita, quello breve e fugace che ricordi appena ritorni nella città dove sei cresciuto o quel sentimento che arriva all’improvviso per una persona più giovane che ti fa tornare indietro nel tempo e ti fa rivivere sensazioni ed emozioni che pensavi aver dimenticato». Un lavoro certosino quello del pianista-cantautore che racchiude e racconta tutta la sua poetica sensibilità e la capacità di comunicare con intensità, ironia e soprattutto con il coraggio appassionato di narrare il quotidiano senza infingimenti e ipocrisie.

Cos’è rimasto in lei del cantautore di denuncia crudo e diretto dei “Disperato”, “Vaffanculo”, “Perché lo fai”, “Bella stronza”, “Le ragazze serie” o “Cenerentola innamorata”?

«L’esperienza ti fa crescere e ti fa acquisire lucidità e consapevolezza. Diventi giocoforza più riflessivo e la poesia prevale sull’asprezza dei testi, sulla rigidità e il rigore. Nei brani che mi hanno dato fama e popolarità e che ho proposto quando avevo 25 anni c’era un senso di ribellione, desiderio di cambiamento, ferrea volontà di modificare il corso della storia e il mondo che ti schiaccia. Poi il tempo ti porta alla riflessione e ti accorgi che, nonostante l’impegno e il coraggio, è la vita stessa a cambiarti e finisci inevitabilmente per arrenderti. Soltanto l’amore può farti superare la delusione del fallimento per ciò che avresti voluto trasmettere alle nuove generazioni e non sei riuscito a farlo. Nelle 12 canzoni del nuovo album in vinile e cd – da “Allora ciao” a “Dovevamo essere noi” sino a “Parlare al futuro” e a “Qualcuno mi ha detto di te” – c’è tanto del mio vissuto».

Sessant’anni, un traguardo sufficiente per tracciare un primo bilancio.

«La musica è stata sempre la mia vita. Era il 1968, l’anno della contestazione giovanile, e avevo 4 anni quando i miei genitori mi regalarono il mio primo vinile, “Luglio”, del cantante fiorentino oggi 85enne Riccardo Del Turco. Li sentivo cantare quel brano e l’avevo imparato a memoria. Ebbero così un’idea folgorante: comprarmi un organetto giocattolo. È partito tutto da lì. A 16 anni è iniziata la mia storia di piano e voce: le prime esibizioni nei piano bar, per poi passare all’Hotel Croce di Malta di Firenze sino ad arrivare alla maturità artistica al palasport. Come per un calciatore che debutta in Serie A dopo aver giocato nei dilettanti».

Dalla musica dance a quella d’autore.

«Ho fatto due anni di ragioneria, poi ho detto basta e mi sono iscritto al Conservatorio. Otto anni di pianoforte, dai classici sino allo studio dei sintonizzatori. Nel frattempo, a 18 anni, sono entrato in una band, “Errata Corrige”. Ci siamo esibiti in tutte le discoteche della Toscana spingendosi sino in Liguria: da “Le Panteraie” a Montecatini all’“Apogeo” sino al “Nautilus”. Con i primi soldi ho investito sulla musica acquistando una tastiera nuova. Più avanti, con i brani incisi, mi sono comprato una Seat Ibiza usata e più tardi una Golf».

A 22 anni la svolta artistica.

«Lavoravo a Radio One di Dennis Pieri, la più famosa emittente radiofonica fiorentina, che ha segnato gli anni Settanta e Ottanta, e scrivevo già i primi testi quando conobbi Beppe Dati, compositore e poeta camaiorese, che ha scritto per me “Disperato”, “T’innamorerai”, “Bella stronza” e tanti altri pezzi di successo, ma anche capolavori assoluti come “Cosa resterà degli anni Ottanta” interpretata da Raf o “Gli uomini non cambiano” di Mia Martini. Fu proprio Dati a farmi incontrare di lì a poco il più grande produttore discografico, compositore e paroliere italiano: Giancarlo Bigazzi. A Firenze in quegli anni aveva creato una specie di clan con Raf, Canino, Vallesi e Baldi e, scherzi del destino, era stato l’autore di quel brano, “Luglio”, da cui tutto ha avuto inizio. Mi fece entrare nella sua squadra come arrangiatore e musicista e collaborai alla realizzazione di colonne sonore di film come “Mediterraneo” di Salvatores e concertista nelle tournée di Tozzi e Raf nel 1988».

Firenze ieri e oggi: la Toscana delle radici e quella multietnica.

«La mia città era quella delle storiche botteghe artigianali e mi accorgo che quella mentalità è ancora profondamente radicata nella gente. Mantenere una propria identità non vuol dire necessariamente chiudersi al mondo esterno. In questo anni ho sperato che, pur mantenendo la sua unicità nei monumenti nello splendido centro storico, nella parte nord la città assumesse i contorni di una capitale mittleuropea sviluppando servizi all’avanguardia e zone residenziali a misura d’uomo nel rispetto dell’ambiente e delle persone. Purtroppo questo scatto da me auspicato non c’è stato. A mio avviso Firenze può davvero rappresentare un volano socio-culturale-economico di rilevanza mondiale».

Qual è il rimpianto più grande nella sua vita artistica?

«Sono contento di quello che ho fatto, sto facendo e continuerò a fare. L’unico dispiacere che mi porto dietro a distanza di 40 anni e mi fa ancora male è quello di non essere stato accanto a mia mamma la sera che se ne andò. Era il 1984 e venni chiamato con la band a suonare per tre giorni in una discoteca. Lei stava male, ma nessuno immaginava un tracollo improvviso».

Dall’estate 2003 con l’amico toscano Giorgio Panariello sta girando le piazze e i teatri italiano con uno spettacolo che ha ottenuto un enorme successo.

«Con Giorgio ci conosciamo dal 1987 e da 15 anni facciamo le vacanze nello stesso posto. Sul palco riproponiamo momenti di vita vissuta. Questa spontaneità è stata l’origine dell’ottima riuscita dello show. Ci siamo completati a vicenda imparando i trucchi del mestiere: io i tempi comici e i monologhi e lui la musica e gli arrangiamenti. Tra gli artisti, ma anche nel mondo “normale”, gli amici si contano sulla punta delle dita. Per un brutto anatroccolo come me che a un certo punto della sua carriera era stato boicottato ed emarginato, come accaduto alla grande Mimì (Mia Martini), dipinto come uno iettatore per alcuni testi aspri ma assolutamente realistici, è stata fondamentale la vicinanza di quelle persone che, a prescindere dai dischi venduti, mi hanno sempre apprezzato come uomo».

Per i suoi 60 anni compiuti da poco se le avessero dato la possibilità di far tornare in vita per un giorno una persona cara chi sceglierebbe?

«Dire i miei genitori è scontato. Tanti mi hanno accompagnato nel percorso dell’esistenza regalandomi affetto, amicizia e qualcosa di loro stessi. Se devo fare un nome allora dico Francesco Nuti, la splendida persona che era negli anni della giovinezza e della maturità artistica. Un vero amico che mi manca ogni giorno. La commozione che ho provato al suo funerale cantando “Sarà per te”, il suo bellissimo brano portato a Sanremo nel 1988 e dedicato alla magia della paternità, andando poi ad abbracciare sua figlia Ginevra, l’ho provata poche volte nella mia vita».

Qual è stato il regalo più bello ricevuto per il compleanno?

«Non ce n’è uno in particolare. Per me l’omaggio più bello è quello di vedere ai miei concerti o alle mie esibizioni i fan che mi applaudivano 30-35 anni fa che tornano con i figli a cui hanno fatto ascoltare le mie canzoni. Una staffetta generazionale che è il dono più grande che un artista può ricevere».

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