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Elena e Diego, la rinascita dei due sportivi dopo il dolore: «Così abbiamo scoperto l'amore»

di Francesca Bandinelli

	Una bella foto di Diego Terenzi con Elena Pietrini
Una bella foto di Diego Terenzi con Elena Pietrini

La scintilla tra Pietrini e Terenzi scoccata nella riabilitazione per i rispettivi infortuni. Sulla fidanzata campionessa racconta: «Vera leader, peccato per le Olimpiadi»

07 novembre 2024
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LIVORNO. A Livorno, c’è stato poco più di un battito di ciglia. Ma Diego Terenzi, play classe ’95, a Livorno ha ritrovato il sorriso e la forza per rinascere ancora una volta. Più forte di tutto. Il suo sogno con la Libertas si è spezzato sul più bello, per un altro maledetto infortunio al ginocchio (rottura del crociato), ma qui ha curato anche il cuore dopo la scomparsa della sua Carlotta, trovando l’amore. Perché nell’ennesimo momento complicato, a regalargli il sorriso più bello è stata proprio una livornese, la pallavolista Elena Pietrini, schiacciatrice della Vero Volley Milano, in A1. Sarebbe stata oro olimpico pure lei, a Parigi, se non ci si fosse messo di mezzo un infortunio alla spalla. «La nostra è stata una boccata d’ossigeno reciproca, ci siamo dati forza a vicenda. Abbiamo riconosciuto l’uno nell’altra il dna del campione: attenzione, però. Io, a differenza sua, non mi definisco un fenomeno: uso questo termine per l’approccio che entrambi abbiamo avuto di fronte ai rispettivi stop. Mi è spiaciuto tantissimo che Elena per il problema alla spalla abbia visto sfumare il suo sogno olimpico. Nella… “sfortuna” ci siamo incrociati nel momento giusto. Stiamo tornando entrambi e lo stiamo facendo bene: io lo devo alla lei, alla forza che mi trasmette anche se non siamo vicini». Un amore racchiuso in un pallone che corre sul parquet: da una parte coi set a scandire la corsa al successo, dall’altra coi canestri.

Diego, come sta oggi?

«Fisicamente direi molto bene. Da un paio di settimane sono tornato ad allenarmi con la squadra, la Fulgor Omegna, in B, dove sono tornato dallo scorso agosto. La squadra sta andando bene, al di là di qualche passaggio a vuoto, e la società è contenta: ci stiamo consolidando. L’obiettivo è quello di continuare a percorrere la strada tracciata, senza porsi limiti».

Ma fuori dal parquet, chi è Diego Terenzi?

«Una persona che ama stare lontano dai riflettori. Mi sono laureato da poco: ho completato il ciclo di studi in management dello sport, dopo il primo step con la triennale in Scienze Motorie. Vorrei provare a fare qualche corso da general manager in ambito sportivo».

Sulla sua tesi ha scritto una dedica speciale?

«No, non l’ho scritta, l’ho tenuta per me. Ma se ho iniziato questo percorso universitario lo devo a Carlotta (la giovane compagna scomparsa nel 2023 per una malattia, ndr). Lei è stata la prima persona che ha davvero creduto in me sotto questo punto di vista e che ha insistito ogni anno, affinché portassi a termine questo percorso. Anche dopo aver finito la triennale, ha insistito tenacemente. “Non ti fermare, se no mi arrabbio”: me lo ha ripetuto in continuazione. Il giorno della discussione, lo scorso 28 ottobre, sono certo, che ci fosse anche lei con me».

Uno dei suoi “fari” è anche il ricordo di suo padre Rodolfo, volato via troppo presto, ma che continua a rappresentare un riferimento.

«Tanta della mia forza mentale è figlia degli insegnamenti di mio babbo che mi ha indirizzato verso questa strada e che, con i miei zii, mi ha trasmesso la passione per il basket. Mio padre sarà sempre la mia fonte ispirazione, per quello che mi ha dato dal punto di vista umano, ma anche sportivo, perché è stato un giocatore di tutto rispetto. Io cerco di emularlo, ma lui era un giocatore dotato di grande agonismo, aggrediva il parquet e superarlo era complicato. È stato il primo ad insegnarmi che se vuoi davvero qualcosa devi andare a prendertela. Ho fatto così anche a questo giro e, credetemi, tornare in campo è stata una gioia immensa, oltre che una bella dimostrazione di tenacia».

A questo, ha contribuito anche Elena Pietrini, l’altra metà del suo mondo. Ma qual è la caratteristica che lei le riconosce?

«Il dna dello sportivo e, un po’, anche del vincente. Sia chiaro, io sotto il profilo agonistico non ho alzato tanti trofei, ma la mia voglia di rialzarmi ogni volta, al di là dei colpi mancini incassati, è quello che l’ha colpita. È la compagna perfetta, sono stracontento di averla accanto. Livorno, mi era già entrata nell’anima, fin dal primo impatto: adesso, c’è un motivo in più. È tutto assolutamente reciproco: io riconosco in lei il suo non accontentarsi. Per raggiungere i livelli a cui è arrivata devi avere grande consapevolezza nei tuoi mezzi e non devi accontentarti: lei è esattamente così, l’ammiro tantissimo. L’ho vista essere propositiva e pensare solo a lavorare per tornare in campo il prima possibile, dopo l’infortunio: la mentalità, in uno sportivo, conta tantissimo e lei ne ha da vendere».

Lei non ha mai smesso di stare accanto all’Associazione per la ricerca contro il cancro.

«Qualche tempo fa, insieme alla famiglia di Carlotta, persone assolutamente generose, ho aderito anche io a una iniziativa a cui avevamo pensato fin da quando lei è mancata. Lo scorso giugno, abbiamo organizzato un evento in sua memoria che mettesse insieme le sue due grandi passioni, quella del vino e dell’enologia, e quella per il basket. Abbiamo organizzato un mini-torneo e anche delle degustazioni, tra aperitivi e vini, con il contributo di diverse cantine che ci hanno fornito la materia prima. Tutto il ricavato è andato ad AIRC, una realtà che mi sta davvero a cuore e cui continuerò, nel mio piccolo, a dare un contributo. La ricerca è speranza e vita: non dobbiamo dimenticarlo mai».

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