Nove anni senza nome, il mistero della “dama”
Fu trovata impiccata a un olivo: nessuno ha reclamato il corpo
PRATO. Sul computer delle salme nel cimitero di Chiesanuova è registrata come “n.n”. Nomen nescio. Senza nome. Sulla targa della croce, che ormai - rotta - è adagiata sui mazzi di fiori di plastica sgualciti dal tempo, non è nessun altro che “l’ignota”. Per noi giornalisti è la dama della regina di Danimarca, dal titolo di uno degli articoli scritti dal novembre del 2007, quando in ogni modo si cercò di dare un’identità a quella bella signora bionda, con piedi e mani smaltati, trovata impiccata a un olivo oltre la salita dei Cappuccini.
Nove anni dopo la targa sulla croce non è cambiata. Nessuno è venuto a riprendersi quel corpo ancora avvolto dal mistero. Nella sua borsa appoggiata alla base del tronco non c’erano i documenti d’identità, c’erano solo tanti piccoli indizi per ricostruire una storia.
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Quella storia che ancora oggi non può chiudersi con “Tamam Shud”, la parola persiana “finito” riportata su uno dei foglietti trovati addosso al cadavere di Somerton (punto di partenza dello spettacolo ospite di Contemporanea Festival) e che con la nostra dama ha tante similitudini.
Era vestita bene. Aveva indosso un bel cappotto e un bel paio di scarpe, di marca polacca. Occhiali e cerchietto raccontavano della civetteria di questa signora sulla cinquantina che nella borsetta portava quasi il giro del mondo. Si raccontava di una persona impegnata con interessi che spaziavano dalla scienza con articoli dello Scientific American e con un abbonamento intestato a un uomo, tale Henrik Eis, titolare di una casella postale nel paese di Payson in Arizona fino alla vita dei Reali danesi di cui conservava un articolo, con alcune sottolineature, relative alla Regina Madre oltre a una busta con l’intestazione proprio del suo segretario particolare.
Tra gli effetti personali della donna anche indirizzi di un distretto farmaceutico di Cambridge e la cartina per raggiungere un convegno a Vancouver. Stati Uniti, Canada, Danimarca e anche Scandinavia, con un’etichetta per bagagli non compilata dalla compagnia Sas. E infine Firenze. La città da cui sicuramente è passata prima di trovare la morte a Prato. Aveva una copia del giornale gratuito Metro con la data del 9 novembre e un biglietto del treno non obliterato con la scritta a penna 13.15 Viareggio. Forse il treno che prese per arrivare in città il 12 novembre. Qui comprò una schiacciatina di patate del panificio Toscano e una bevanda al gusto Ace. Girò per la città fino alla mattina del 13 novembre quando alle 7 il suo corpo fu visto penzolare da quell’olivo a lato della strada che si inerpica verso la località Cento Pini. Passò inosservata. Nessuno si ricordò, all’epoca, di aver visto questa donna. Non le commesse dei supermercati che avevano quel tipo di schiacciata, non i tassisti, non i residenti della zona. L’unica che ne parlò fu una psicologa che chiamò la trasmissione “Chi l’ha visto” sostenendo di averla incontrata a un convegno il giorno precedente. Un incontro che si era tenuto a Villa Viviani, un congresso internazionale. Fece una domanda sull’informatica applicata al laser. La fece, in italiano, ma aveva l’accento straniero, racconto ai giornalisti della trasmissione. Poi il silenzio. Un silenzio lungo nove anni.