Il Tirreno

Lucca

Il compleanno

Bomber Roberto Paci a 60 anni fa gol in cucina: la Serie A mancata, la statua in garage, i clienti vip (ma zero sconti)

di Luca Tronchetti
Nella a sinistra piccola Roberto Paci braccia al cielo come ai tempi in cui segnava gol a grappoli nel suo ristorante in Sardegna e accanto il bomber rossonero
Nella a sinistra piccola Roberto Paci braccia al cielo come ai tempi in cui segnava gol a grappoli nel suo ristorante in Sardegna e accanto il bomber rossonero

I ricordi del recordman di ogni epoca della Lucchese con 375 presenze e 147 gol in 13 stagioni: dalla statua in pietra all’amicizia con Mancini sino al rapporto con gli arbitri

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LUCCA. Oggi entra nel club dei sessantenni un mito del calcio a tinte rossonere: Roberto Paci, recordman di ogni epoca con 375 presenze e 147 gol in campionato nelle 13 stagioni vissute nella Lucchese.

Un compleanno vissuto tra i tavoli e la cucina, del suo capolavoro extra calcistico: il ristorante “Mama Latina” vicino a Cala di Volpe in Costa Smeralda. «Per me il 18 luglio è sempre stata una giornata di lavoro. Quando giocavo in quel periodo eravamo in ritiro faticando e sudando come bestie specie ai tempi dell’Omone e costretti a un rigido regime alimentare. Adesso invece con il sold out del locale quasi tutte le sere mi faccio il mazzo assieme al mio staff e arriviamo alla sera stremati. A voler veder bene poco è cambiato dai tempi in cui giocavo che alla fine della doppia seduta crollavo dalla fatica appena toccato il letto. Ma anche in questo lavoro ho portato la stessa adrenalina che avevo quando scendevo in campo con la voglia di spaccare il mondo. Cucinare bene i paccheri scampi e radicchio, le tagliatelle con il formaggio fuso o l’orata al forno annaffiata da una bottiglia di karajani è come segnare un gol di testa, al volo o in rovesciata. Perché in fondo tifosi e clienti sono molto simili ed entrambi super esigenti e il livello di difficoltà in campo e in cucina è identico. Gli sportivi vogliono vederti segnare e far vincere la squadra, gli avventori vogliono mangiar e bere bene e pretendono un servizio impeccabile. C’è un’unica differenza: da giocatore mi pagavano per fare quello che mi piaceva, da ristoratore devo guadagnare abbastanza per pagare lo staff, i fornitori, le tasse e ricavarmi lo stipendio. È logico quindi che, al di là della gioventù, gli anni Ottanta e Novanta quando avevo una città-scrigno come Lucca ai miei piedi restano indimenticabili» .

L’uomo dei record

Non solo il più importante calciatore della storia della Lucchese, ma anche il detentore di un singolare record: aver segnato oltre 100 reti indossando un’unica maglia: «Vero, io e Andrea Caracciolo, l’Airone del Brescia, siamo gli unici ad aver superato quel primato in B con le rispettive squadre. Visto il calcio di oggi che cambia radicalmente interpreti nel giro di un paio d’anni siamo due monumenti viventi».

La statua in garage

A dire la verità a Paci i tifosi fecero pure una statua: «Come no, è ancora il cimelio più bello: la scultura in pietra di Matraia che mi raffigura esultante dopo l’ennesima rete, dono dei club di Lammari, Marlia, Camigliano e Villa Basilica. Toccando ferro di solito certe sculture le a fanno ai defunti. La mia l’avevo sistemata all’ingresso del ristorante a Porto Cervo, ma i dipendenti, con un certo sarcasmo, l’avevano adornata di bottiglie di mirto e foglie di murtedda (nel calendario arboreo è simbolo di morte). Sono stato costretto a portarla a casa e quando la guardo la palpebra si bagna e ripenso a Lucca».

I clienti vip

Tra giugno e agosto i clienti vip abbondano. Specie tra gli sportivi: «Lippi, che è stato mio allenatore nel 1991 a Lucca, appena vinto il mondiale 2006, attraccò la sua barca in Costa Smeralda e venne a pranzo da me. Ho avuto ospiti anche Di Canio e prima degli Europei è venuto Alvaro Morata, capitano della Spagna che ha vinto il titolo e che sta per firmare per il Milan». Una cosa è certa: agli amici può fare sconti, ma chi entra nel suo ristorante paga: «In quegli ambienti, nonostante il fiume di denaro che circola, si tende ad avere il braccino corto. E io non sono in vena di regali a chi se lo può permettere».

Mancini e Vialli

Ci ha provato anche l’ex Ct azzurro Roberto Mancini, mandando in avanscoperta l’amico comune Fausto Salsano dopo aver attraccato il suo yacht nella zona. Ma Paci gli ho fatto subito capire che il conto si paga: «Con il ‘Mancio’ scherziamo di continuo e lo prendo sempre in giro sui prezzi del mio ristorante. Oltre al legame con le Marche (la mamma di Paci e originaria di Marotta mentre Mancini è di Jesi) ci unisce il ricordo di Vialli. Noi tre abbiamo fatto un percorso comune sino all’under 21 giocando assieme in attacco ed eravamo molto uniti. Loro poi hanno fatto carriera e io mi sono fermato alla Lucchese diventandone la bandiera. Con quella maglia ho avuto le soddisfazioni più belle: la promozione in B, la Coppa Italia di C, il titolo di capocannoniere. D’accordo, non ho mai giocato in serie A perché alla fine il presidente Maestrelli e il ds Vitali non volevano vendermi e l’unica volta che stavo per andare alla Reggina (era il 1999) non arrivarono in tempo a depositare il contratto. Si vede che non era destino».

Affari di famiglia

Da 13 a 38 anni il calcio è stata la sua ragione di vita, il gol il suo pane quotidiano, la Lucchese il suo vangelo. Poi, dal 2002, il pallone è uscito di scena. Senza rimpianti. «Una volta smessa l'attività di calciatore decisi di riprendere passioni e cose di famiglia, tra cui la ristorazione. Sono contento della scelta, anzi rifarei tutte le scelte che ho preso nella vita. I miei due figli non fanno i calciatori: Alessandro, lavora in una multinazionale e Gianluca, dopo un’esperienza nelle giovanili dell’Olbia è diventato apprezzato chef in Europa dopo l’esperienza nel locale. Il calcio? Sono uscito nauseato da un ambiente infarcito di ipocrisie e falsità e che mi dicono sia ulteriormente peggiorato nel corso di questi 25 anni in nome del business diventando un autentico mercato delle vacche. Non sono mai stato un “signorsì” capace di scendere a compromessi. Non mi ci vedevo seduto su un panchina, con una tuta a tirare il gruppo o dietro una scrivania e in giro per gli stadi d’Italia in cerca di talenti. Di sicuro mi sarei scontrato di brutto con qualche presidente, dirigente o soprattutto con gli arbitri».

Giacchette nere da evitare

«Se nel 1990-91 la Lucchese non è andata in A ottenendo la doppia promozione a mio avviso la colpa è in buona parte dei direttori di gara. Andate a leggere i loro nomi: molti li troverete implicati in calciopoli. Il top lo abbiamo raggiunto ad Ascoli quando il carioca Casagrande svenne senza contatto in area e Pairetto fischiò il rigore. Ero capitano, mi avvicinai e gli dissi “se lo sapevo non venivo a giocare” rafforzato da epiteti assai coloriti. Lui niente. Nemmeno il coraggio di sventolarmi in faccia il cartellino. Ma al polso mostrava con orgoglio un Rolex d’oro. E non solo quella stagione. Anche con Bolchi in panchina avevamo il potenziale per salire. Quel sistema di potere, che è stata una delle cause del mio allontanamento dal calcio, ci impedì la A».

Calcio e business

Tra una portata e l’altra, con un certo distacco, il bomber della storia rossonera osserva in tv le partite: «Le guardo distrattamente e solo, di tanto in tanto, quando gioca la Juve che è stata la squadra del mio primo provino. La Lucchese? Per quella c’è sempre posto nel mio cuore e il brindisi per i miei 60 anni lo dedico a quei colori che sono stati la mia vita. A proposito voglio fare i miei auguri a Giorgio Gorgone che è stato nel mio locale e ho avuto come compagno di squadra nell’ultimo anno di B dei rossoneri. É un ragazzo serio e diventerà un grande allenatore. I tifosi lo supportino come ai tempi di Orrico: non li tradirà».

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