Disagio giovanile, sono quattro le psicopatologie in aumento. L’esperto: «Cosa serve? Affetto, più regole e meno chat»
Il monito dello psicologo Nicola Artico: «Più casi di disturbi alimentari, autolesionismo, pensieri suicidi e isolamento»
LIVORNO. «Affettività e regole in egual misura e ai genitori consiglio: basta chat, incontratevi dal vivo per confrontarvi sui problemi dei vostri figli». Nicola Artico, direttore dell’Unità operativa Psicologia e dell’Unità clinica di Salute mentale infanzia adolescenza dell’Asl Toscana nord ovest, spiega che l’attenzione deve restare alta. Anche perché, come raccontato dal Tirreno, il disagio psicologico è in crescita, coinvolgendo un giovane su tre.
Dottor Artico, di cosa hanno bisogno i nostri ragazzi?
«Di interlocutori con una mente in grado di dialogare con la loro mente. Questo è un concetto molto importante: se l’adulto non sa tenere a mente la mente dell’altro, rischia di fare affermazioni e domande che non hanno funzione».
Ma davvero l’origine di tutti i mali è stato il Covid?
«È stato un detonatore, però non è caduto su un terreno neutro: già prima della pandemia avevamo un’incipiente complicazione degli stati psicologici dei nostri ragazzi che già da anni stavano mostrando segni di aggravamento. Il Covid non è la causa di tutto, però ha prodotto due effetti».
Quali?
«In alcuni ha bloccato completamente lo svincolo dalla famiglia. Gli adolescenti erano già lì pronti, verso i 13-14 anni, per fare il loro debutto adolescenziale in piazza e, mentre stavano per accendersi i motori, sono stati bloccati per mesi in casa, con molte restrizioni e con conversazioni online. E così alcuni di loro, grazie agli strumenti, si sono quasi fusi con il divano».
Cosa significa?
«Che poi non hanno più fatto i passi successivi. Tant’è che tra i numeri che sono aumentati dopo il Covid c’è proprio il ritiro sociale (hikikomori), ragazzini che sono rimasti chiusi in casa, hanno smesso di andare a scuola e addirittura mangiano in camera».
E qual è stato l’altro effetto?
«Altri, invece, hanno avuto la reazione opposta: si sono catapultati fuori, senza però quell’apprendistato intermedio che sarebbe necessario fare, magari con un’aggressività eccessiva. E infatti dopo il Covid abbiamo registrato l’aumento di quattro precise psicopatologie, mettendo anche alla prova i nostri servizi».
Di quali psicopatologie si tratta?
«Sono cresciuti i disturbi alimentari in generale, come l’anoressia e la bulimia, ma anche il self-cutting, cioè gli atti di autolesionismo, soprattutto tra le ragazze: tagli su braccia, gambe e cosce. Ed è aumentata anche l’ideazione suicidaria, quindi ragazzini che hanno più spesso di quanto ci si aspetterebbe da minorenni questi pensieri, e infine, come detto, il ritiro sociale».
C’è un filo conduttore tra queste psicopatologie?
«Sì, il corpo. Che lo si voglia “scolpire” con l’anoressia, che lo si voglia ferire con atti di autolesionismo, che lo si voglia sopprimere per sempre con l’ideazione suicidaria o che non lo si mostri più con il ritiro sociale».
C’entra l’impatto dei social nelle vite dei giovani e giovanissimi?
«Il Covid arriva in concomitanza della massima espansione dei social, e una delle fonti di disagio più importanti, più emergenti, è proprio il rapporto dei giovani con il loro corpo a fronte di tutto quello che i social mostrano del corpo. In altre parole, una iper-esposizione del corpo degli altri e a volte anche del proprio con telefonini in mano a bambini di 10 anni. E poi c’è il paradosso».
A cosa si riferisce?
«Magari abbiamo il timore che un 14enne prenda il pullman da solo per andare alla stazione, ma lo lasciamo totalmente solo, per ore e ore, nella giungla della rete. I nostri ragazzini sono stati lasciati per anni, soprattutto dal 2011 in poi, in questo mare magnum con genitori che purtroppo controllano in maniera inversamente proporzionale rispetto al loro ceto socio-culturale. Ed ecco il combinato disposto: Covid, rapporto difficile con il corpo, strumenti che fanno dell’immagine l’elemento core e ragazzini iper connessi, spesso senza alcun controllo».
Perché si manifesta questo disagio psicologico?
«Chi si taglia, ad esempio, lo fa perché cerca con il dolore fisico di lenire un dolore morale. Paradossalmente, tagliandosi stanno auto medicando una sofferenza. Per questo per diventare adulti, i giovani devono essere messi in condizione di rispondere a tre domande evolutive fondamentali: “Chi sono io da solo? Chi sono io gli altri per me? Com’è fatto il mondo intorno a me?”. La traiettoria psicologica di una persona sarà più o meno armonica tanto più sarà messo in condizione di rispondere a queste domande e, per farlo, ci vuole un contesto relazionale che presenti il limite per capire chi sei e chi non sei».
Non è così oggi?
«L’affettività senza regole genera disarmonia e negli ultimi 30 anni è saltata la funzione normativa da parte della famiglia con la fantasia che si possa crescere sani nell’assenza totale di frustrazioni. Certo, vanno evitate le frustrazioni perverse o negative, ma i ragazzi devono apprendere che esiste il limite. Oggi la comunità sociale dovrebbe essere in grado, orizzontalmente, di presentare la regola insieme all’affettività».
Cosa consiglierebbe ai genitori?
«Tutti gli attori educativi di ogni ordine e grado devono sapere che educare ha a che fare con l’autorevolezza, ma l’autorevolezza ha a che fare con la coerenza. È fondamentale proporre una regola, testimoniare che il genitore per primo la rispetta e favorire un comportamento positivo. I figli apprendono per modellamento e per identificazione, non tanto perché gli enuncio qualcosa: vale per i comportamenti virtuosi o non virtuosi. E poi è fondamentale che i genitori siano capaci di porre domande che non siano inquisitorie, ma che indagano i loro sentimenti e i loro pensieri anche in maniera gratuita. Ad esempio: “Cos’è successo di curioso oggi a scuola?”. Oppure: “Qualcosa ti ha stupito?”. Domande aperte, esplorative e positive. “Come è andata in rete?”. Infine, i genitori dovrebbero rompere l’isolamento».
Come?
«I genitori hanno altri genitori intorno e allora perché non prendere l’abitudine di telefonarsi, di condividere, di incontrarsi senza avere paura? Creando piccoli club di incontro per capire che i propri problemi sono quelli dell’altro. E soprattutto evitare le chat, foriere di malintesi. Vedersi in faccia fa salute».
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