Montano e il bacino di carenaggio off-limits a Livorno, gli operatori: «Porterebbe lavoro, troviamo una soluzione»
La struttura - arrivata dall'Ucraina, costata poco più di cinque milioni e cofinanziata per il 35% dalla Regione, è ferma da novembre su una banchina. La famiglia Lorenzoni: «Nel Mediterraneo pochi manufatti simili, potrebbe essere sfruttato e valorizzato nell'interesse collettivo»
LIVORNO. «I bacini di carenaggio difficilmente restano senza lavoro, per altro quello acquistato dal cantiere Montano è abbastanza grande e nel Mediterraneo non ce ne sono poi così tanti di queste dimensioni. Speriamo che l’Autorità di sistema portuale del mar Tirreno settentrionale possa trovare una soluzione nell’interesse della città».
È l’auspicio di Luciano, Luigi e Leopoldo Lorenzoni dopo che Palazzo Rosciano non ha trovato un’area idonea dove ospitare la struttura acquistata dalla famiglia livornese a Izmail, in Ucraina, e arrivata in porto nel novembre scorso, dove però è ospitata temporaneamente all’approdo 21, al prezzo di 500 euro al giorno, nella concessione di Ltm, Livorno Terminal Marittimo. Lì, però, non potrà essere sfruttato, in primis perché non è un luogo deputato dal piano regolatore portuale alle riparazioni navali, poi perché il fondale per operare (servono 11 metri di pescaggio) non è sufficiente, dato che si ferma a 7,5. «Un bacino di carenaggio in più – proseguono i Lorenzoni – senz’altro porterebbe più lavoro, è così un po’ in tutti i porti». Lungo 101 metri e largo 31, attualmente Palazzo Rosciano ha proposto di spostarlo a Piombino. I cantieri Montano, che operano sulla Darsena Pisa, hanno fra l’altro perso la concessione assegnata dall’ultimo bando a Gestione Bacini e Gruppo Neri e l’Authority ha inviato all’azienda diversi solleciti per rientrarne in possesso, come per la zona di Romoli. Ma pendono i ricorsi, visto che nessuno degli attuali ed ex concessionario è d’accordo sulla trasformazione delle due darsene in un polo di produzione di yacht.
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