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Sardelli e lo sfregio al Palazzo de Larderel: «L’arte di strada è una cosa seria, un troiaio gli scarabocchi sui muri»

di Claudio Marmugi
Sardelli e lo sfregio al Palazzo de Larderel: «L’arte di strada è una cosa seria, un troiaio gli scarabocchi sui muri»

Il maestro sulla proposta di dare spazi ad hoc per fare graffiti: «Chi va con la bomboletta non li vuole. Nessun messaggio, solo pochezza»

27 agosto 2024
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LIVORNO Non ha inventato l’elicottero o il sottomarino, ma Federico Maria Sardelli è un Leonardo Da Vinci dei nostri tempi. Classe 1963, musicista, musicologo, flautista, compositore eccelso e premiatissimo, direttore d’orchestra di fama internazionale, scrittore di bestseller per Sellerio (suoi i libri "L’affare Vivaldi" e "Lucietta. Organista di Vivaldi"), pittore sublime e rapidissimo, incisore, disegnatore e autore satirico al "Vernacoliere". Sardelli, figlio del pittore Marc Sardelli, incarna l’arte a 360 gradi. L’altro giorno è intervenuto sulla pagina Facebook del Tirreno commentando la notizia "Chi sciupa Livorno fa male a tutti" dove il sindaco Salvetti pensa a uno spazio per graffiti e murales (in conseguenza alla notizia che il Palazzo De Larderel sfregiato con la scritta "Frenetici 1915"). Senza essere in polemica col sindaco, Sardelli, presidente della giuria al Premio Rotonda ha una visione, di che cosa sia street-art e cosa troiaio.

Maestro, cosa è "arte di strada" e cosa è "troiaio"?

«Il discrimine è difficile. Di base viene nominata "street-art" tutto quello che si trova per strada, il problema è che quando si conia un termine si rischia di nobilitare tutto. In questa categoria, in effetti, ci sono sia chi fa i grandi murale, artisti veri che hanno un’idea e hanno una tecnica e fanno belle cose, e un’infinita di persone che hanno solo voglia di scarabocchiare. E se vi guardate in giro vedrete che queste ultime hanno scarabocchiato con lo stesso lessico grafico le stazioni di tutto il mondo. E non è arte, quella, è omologazione più bieca: sono scarabocchi con uno stile comune. Manca l’originalità, il messaggio. Non c’è niente contro il mondo, contro la società. Sottopassi, viadotti, gallerie, treni, saracinesche delle città, tutti riempiti con queste scritte tondeggianti che non dicono niente. Questo è vandalismo. Non esprime nulla. Tranne "tu tingi la cosa di nuovo e io te la li rovino"».

Quindi non è d’accordo con l’idea di dare loro uno spazio?

«Non è quello che vogliono, non loro. Le persone che si muovono con la bomboletta in tasca per scrivere per strada non vogliono un muro, lo vogliono fare nell’ombra e non vogliono essere visti. Vogliono fare la "pisciatina" su quell’angolo, mirano a qualunque superficie, non a uno spazio dedicato. Un’artista invece sì, vuole un muro bianco dove operare, dove esercitare la propria arte. Ma i primi, non sono artisti. Infatti lavorano in segreto e in fretta, perché il loro è vandalismo. A Livorno hanno preso di mira un palazzo importante. Pensa sia voluto? «No, a me non sembra uno spregio mirato ad un palazzo importante. A me sembra che ci sia molta pochezza. Anche perché la scritta non è che esprima chissà quale disagio, chissà quale messaggio sociale o politico. Sembra fatta a caso solo perché c’era spazio. Insomma, non li nobiliterei al rango di artisti dando loro una lavagna per esprimersi. Tu gli dai la lavagna e loro ti scrivono comunque sul muro perché sono fatti così».

Per assurdo, lei recentemente è finito nella censura dei social per un post collegato al femminismo e al suo ultimo libro, in sostanza per un’idea che aveva espresso. Come si è sentito?

«Sui social basta usare la parola sbagliata e sei bannato. Al tempo dell’Inquisizione aveva elaborato una serie di parole proibite. Il sistema è un po’ lo stesso. Il problema è che oggi cassano anche la spiegazione sociologica di quella parola che usi. Non seguono il discorso che fai, cercano solo la parola che non devi usare. È chiaro che debbono tenere a bada milioni di utenti che possono inneggiare alla violenza o al razzismo. Però qualsiasi cosa per l’algoritmo diventa istigazione alla violenza. O un nudo di un quadro di Courbet diventa pornografia. Il problema è che a giudicare saranno sempre di più coloro che daranno le regole etiche all’intelligenza artificiale. E con l’AI non ci ragioni. Poi magari finisco censurato io e lasciano le apologie di fascismo e razzismo. Noi ci lamentiamo dell’algoritmo, ma dentro c’è una scelta precisa fatta dagli uomini, un’ideologia che programma, dietro a linee che coincidono con una nuova religione laica imperante alla quale è molto difficile sottrarsi».

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