Viceprefetto arrestato, il compare: "Stai sereno, non possono risalire a niente". Ma erano intercettati
Daveti parla nell’auto imbottita di cimici. E al telefono le rassicurazioni alla moglie, inquieta per i debiti: "Non ti stressà, sparirà tutto"
LIVORNO . «E l’amico Battista è sereno?», chiede Giovanni Daveti a Davide Alpi. E lui: «Tu puoi stare sereno, con il telecomando non possono risalire a niente, e non possono risalire all’identità» Sembra la nemesi del viceré dell’Elba questa intercettazione, perché le prossime giornate per lui saranno molte cose, nei suoi pensieri dilagheranno affanni, ricordi, una caccia disperata all’istante in cui nel suo cammino illegale ha commesso il primo passo falso, ma mai nella cella alle Sughere si schiarirà il nirvana che gli suggeriva il socio e faccendiere sull’affidabilità di Giambattista Ancarani, il faentino procacciatore di bombe finito agli arresti.
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Al telefono col dinamitardo. È il 18 gennaio 2018, sono passati due mesi dal giorno in cui la rete di sicurezza di Daveti si è rotta, il giorno in cui hanno arrestato Stefano Del Cacciatore, l’amico per cui aveva ordinato l’esplosivo, l’uomo che dice di essere vittima di una truffa immobiliare e dunque da vendicare con la bomba, per il quale farsi mandante. Da tempo però la sua Opel Mokka è imbottita di cimici piazzate dai finanzieri. Eppure niente, lui la utilizza come un confessionale. Lo fa anche il 20 novembre. A forza di fare affari con un uomo della ‘ndrangheta, Daveti a un certo punto s’è fatto boss, da viceré e uomo delle istituzioni, si sente padrino, e come tale ora esige dall’amico il silenzio. Lo sta accompagnando in macchina in tribunale, Del Carratore dovrà affrontare l’udienza di convalida dell’arresto, e deve istruirlo. «Per ora non hai detto nulle vero?», gli chiede. «Zero, nemmeno quando sono nato».
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Il viceré esige il silenzio. A Livorno il suo fermo ha sorpreso tutti. Un uomo pescato con un chilo e cento di polvere da sparo su una Smart in viale Italia. All’inizio si ipotizza di tutto: un terrorista, un folle. Gli inquirenti sviano, rivelando dettagli farebbero naufragare l’inchiesta. «E quello che hanno pubblicato...? - chiede Daveti - I giornali dicono che l’avresti fabbricato te con le cartucce». «Non ho visto i telegiornali, ma sì quello è vero». Poi il viceré rassicura, quasi bonario sulla pena: «Siamo sul fronte da uno a cinque anni, è un reato di particolare tenuità». «Comunque - riprende Del Carratore - Io non ho fatto il nome di nessuno, zero zero». «Ma te quegli altri non li conosci nemmeno eh..». «No no , a parte che non li conosco», dice Del Carratore, ma «tanto per cosa metti un paletto...», dice, sarebbe «finito». Il viceré chiarisce: se lo facesse, il suo destino sarebbe segnato: «Anche perché loro cercano di trovare...». E gli inquirenti darebbero la caccia «a tutto il gruppo, l’associazione a delinquere». Quella dello «zio», così come la banda chiama l’uomo della cosca, Giuseppe Belfiore.[[atex:gelocal:il-tirreno:piombino:cronaca:1.16904019:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.iltirreno.it/piombino/cronaca/2018/05/31/news/arrestato-dalla-finanza-il-viceprefetto-dell-elba-giovanni-daveti-1.16904019]]
La banda defli F24. La banda che nasce mesi prima, con le frodi fiscali, il contrabbando, l’evasione sulle accise. Daveti lo chiarisce ai finanzieri in ascolto dalle cimici sulla Mokka il 2 maggio 2017. Con lui c’è un socio, Gian Carlo Cappelli, che vuole capire il meccanismo per “ripulire” i debiti con Equitalia. Daveti spiega che ci sono «loro», che «parlano solo con lo zio», sono gli uomini di un commercialista amico di Belfiore che per le operazioni con gli F24 «vogliono il 22, vorrebbero il 30, ma nel 30 c’è anche...». «La parte nostra», capisce Cappelli. «Sì, la parte nostra dé». E allora Gian Carlo fiuta l’affare: «C’è un commercialista m’ha detto: Gian Carlo sai quante ditte c’ho io che se gli lèvo l’Equitalia si salvano sennò buonanotte». I finanzieri scoprono tutto con chiarezza dal 13 giugno 2017 in poi, quando alla stazione il viceré si incontra con Alpi. Insieme vanno da un commercialista. Facendo approfondimenti scoperchiano il sistema.
Il pianto della moglie. Anche se i sospetti cominciano prima, il 25 maggio, quando intercettano Daveti al telefono con la moglie. È preoccupata. Sta guardando online la dichiarazione dei redditi del marito. Sono spuntati 83 mila euro di tasse non pagate. «Giovanni, se non si fa nulla a luglio non prendi lo stipendio». Passano minuti, ore, telefonate sempre più agitate. «Dé, non ti stressà», dice lui. «Io mi sto cacand... addosso, ma ti rivolgi alla gente giusta?». Ma dopo poco sul monitor scompare il debito. «Non c’è più, non c’è più! Meno male l’ho stampata sennò pensavi fossi matta». Il viceré ride, ride di gusto: «E allora, dé, che ci posso fa...».