Quella storia dimenticata del campo a Roccatederighi
La “Villa del seminario”: il romanzo uscito ieri del grossetano Sacha Naspini. «Volevo presentarlo lì, c’è chi ha rifiutato per evitare scontri con la diocesi»
GROSSETO. È una storia d’amore e di Resistenza. Di silenzi, del percorso difficile della memoria, di rapporti complicati tra noi e la Storia, quella con la s maiuscola. Di un regolare contratto d’affitto che la diocesi di Grosseto stipula per un campo di concentramento a Roccatederighi: siamo a cavallo tra il 1943 e il 1944. Ci finiranno ebrei italiani e stranieri, anche bambini: nella geografia dell’orrore diventa una tappa prima di Fossoli e prima dei campi di concentramento nel centro e nord Europa.
È il contesto nel quale si muove “Villa del seminario” (edizioni E/O), ultimo romanzo – uscito ieri (la data, proprio a ridosso della Gornata della Memoria non è casuale, come vedremo) – di Sacha Naspini, classe 1976, grossetano, autore di numerosi romanzi e racconti di successo. «La Maremma credo avrebbe fatto a meno di questo triste primato: quello di un regolare contratto d’affitto stipulato tra una gerarca fascista – Alceo Ercolani, sì, quello della strage di Istia del marzo ’44 – e la diocesi. La residenza estiva del vescovo – all’epoca Paolo Galeazzi – diventa un campo di concentramento».
La Storia – quella con la S maiuscola –, il fatto, viene raccontato però dal punto di vista di un personaggio (inventato) che è Renè. Cinquantenne, ciabattino del paese, per tutti è “settebello”, a causa della mancanza di tre dita della mano. Schivo, inquadrato nel perimetro della quotidianità fatta di lavoro-casa, nient’altro. O meglio: ci sarebbe Anna, un’amica (forse più? ), ma non ha il coraggio di dichiararsi. Anna ha un figlio, Edoardo, partigiano che verrà ucciso dai tedeschi: la perdita del figlio innesca la reazione della madre che intraprende il percorso del giovane nella Resistenza.
Naspini, e Renè che fa?
«Renè è uno di quelli che è sempre rimasto fuori dai giochi, sempre a guardare, mai in discussione: precipita nella Storia con la s maiuscola. Non può più tirarsi indietro, comincia a farsi un’idea di cosa stia succedendo attorno a lui».
La guerra, la Resistenza, la fame. Perché proprio lui?
«Mi piaceva l’idea di un personaggio che avesse messo la vita e i sentimenti in folle: non ha mai azzardato una mossa diversa dal tragitto casa-bottega, eppure farà un paio di azioni di forte coraggio. Non è un antieroe, ma è sicuramente un eroe della quotidianità. La Storia a un certo punto diciamo che bussa alla sua finestra».
E Roccatederighi?
«Sono nato a Grosseto, i primi sei anni della mia vita sono stato in quei luoghi che nel romanzo (ma anche in altri) chiamo “Le Case”. Quando arrivava l’argomento della villa del seminario se ne parlava sottovoce: “Là sono successe cose…”. Ho messo insieme un po’ di pezzi. Ho conosciuto questa vicenda, nota da pochissimi: o meglio, non c’è stato modo di trovare testimonianze orali, ci sono persone nate a Roccatederighi di 60-70 anni che non ne sanno nulla. Finché nel 2008 non è stata messa la lapide che ricorda del campo di concentramento. Qualche informazione è contenuta nel “Muro degli ebrei” di Ariel Paggi. Mi sono chiesto, in questo contesto, nel quale la stessa guerra viene percepita in un modo diverso, come reagisce la gente del posto? All’ordine del giorno c’erano la guerra, la fame (mio bisnonno nel dicembre del ’43 morì proprio per questo), uno sguardo obbligato verso la casa e non verso “fuori”».
Il libro esce a ridosso del Giorno della Memoria: quanto è importante l’esercizio del ricordo?
«Un precedente senza precedenti: un po’ come se l’umanità intera dovesse chiedere scusa per quanto successo. Purtroppo – ed è una bestialità tutta italiana – spesso in giornate come queste si tira fuori il 10 febbraio, un evento circoscritto e complesso, come quello delle Foibe che viene strumentalizzato dalla destra. Lo stesso sindaco di Grosseto l’anno scorso ha inaugurato la piazza dedicata al vescovo Galeazzi, un personaggio controverso, glissando sul 25 aprile. Dirò di più: volevo fare la presentazione per il 27 alla villa del seminario, con poeti, attori, musicisti, ma un polo di studi di storia contemporanea mi ha risposto che non voleva frizioni con la diocesi. Peccato. Sono diretto, se devi dire qualcosa di scomodo, si dice».