Bibbona, una fuga di gas e una vita spezzata: condannato l’idraulico per omicidio colposo
La tragedia del 2019 causata da omissioni nella chiusura dell’impianto GPL. Il tribunale ha riconosciuto la responsabilità dell’idraulico Michele Splendiani, condannandolo a quattro anni di carcere per la morte di Martina Rossetti
BIBBONA. L’esplosione che ha causato la morte di Martina Rossetti «avrebbe potuto essere evitata se l’imputato avesse apposto il tappo a ostruire il terminale del tubo o avesse chiuso almeno una delle due valvole presenti sul serbatoio esterno». Invece «le modalità con cui l’imputato ha eseguito i lavori» con «superficialità e disattenzione ha esposto le persone offese a un grave pericolo». Dunque «il tribunale ritiene massimo il grado della colpa imputabile a Michele Splendiani». Sono queste le motivazioni alla base della sentenza emessa dal giudice Andrea Guarini, che ha condannato a quattro anni per omicidio colposo l’idraulico che effettuò i lavori all’impianto gpl della villetta di via Ederle, alla California, esplosa il giorno dopo l’intervento. Quel giorno in casa c’erano Giuliano Geri, la compagna Martina Rossetti (morta un mese dopo in ospedale) e il figlio di lei Samuele Piazza. E se per l’avvocato di parte civile Bruno Neri «la sentenza è ben motivata e mette in evidenza le responsabilità dell’imputato», per il legale di lui, l’avvocato Federico Pazzaglia che farà ricorso, la sentenza «non spiega in maniera esaustiva il nesso causale».
I fatti
L’esplosione al centro del processo di primo grado concluso lo scorso dicembre risale al 22 settembre del 2019. In casa c’erano Martina Rossetti, Giuliano Geri e Samuele. Le indagini dei vigili del fuoco si sono concentrate da subito sulla cucina e, in particolar modo, sull’impianto gpl collegato a una cisterna esterna sostituito con una bombola mobile del gas. Questo perché i proprietari avevano deciso di smantellare il vecchio impianto rimpiazzandolo con un boiler elettrico per l’acqua calda e, appunto, con una bombola per il gas.
Accusa e difesa
Il sostituto procuratore Pietro Peruzzi in aula ha sostenuto che «non erano state chiuse le valvole di sicurezza né era stato posto il tappo cieco: quello che impedisce al gpl di uscire. L’unica chiusura presente era la leva di servizio sopra la cucina». In tutto questo «che la causa probabile (dell’esplosione, ndr) sia stato il fatto che quella leva è stata azionata inavvertitamente è accertato dalle perizie» ma «chi ha lavorato sull’impianto ha omesso tutta una serie di presidi che avrebbe evitato l’evento». Per quanto riguarda la leva sopra la cucina, relativamente a un eventuale concorso di colpa per Martina Rossetti che potrebbe averla azionata, «il consulente ha sostenuto che quello non poteva essere un presidio di sicurezza per impedire la fuoriuscita di gpl». Per Pazzaglia, invece, l’aprire il rubinetto avrebbe interrotto il nesso causale tra l’azione del suo cliente e il reato che gli è stato contestato: l’omicidio colposo. Perché «senza l’apertura di quel rubinetto, che è la condizione per l’esplosione, l’evento non si sarebbe verificato».
Le omissioni
Il giudice, nel condannare Splendiani a quattro anni, è andato anche oltre la richiesta del pubblico ministero, che era di due anni e sei mesi. E nelle trenta pagine di sentenza si capisce che «Michele Splendiani ha eseguito e terminato i lavori commissionati omettendo di chiudere le valvole di sezionamento e di apporre il tappo cieco, affidando così la sicurezza dell’ambiente attraverso l’isolamento della cucina dal serbatoio di gpl esterno a un rubinetto alla portata di tutti: in questo modo, dall’accidentale apertura di questo rubinetto è fuoriuscita una quantità di gas tale da saturare l’ambiente e incrociare l’innesco provocando l’esplosione causa della morte di Martina Rossetti, evento che avrebbe potuto essere evitato se l’imputato avesse apposto il tappo o avesse chiuso almeno una delle due valvole presenti sul serbatoio e sul pozzetto esterni».
«Grave pericolo»
Secondo il giudice, inoltre, «la modalità con cui l’imputato ha eseguito i lavori ha esposto le persone offese a un grave pericolo, che si è poi concretizzato nell’evento dannoso: il mancato rispetto delle regole cautelari denota un altissimo livello di superficialità e disattenzione nell’esecuzione di operazioni estremamente delicate, inaccettabile per un qualunque professionista e, a maggior ragione, per un tecnico termoidraulico che opera con materiale combustibile altamente esplosivo».
«Bastava buonsenso»
Inoltre, prosegue il giudice nella sentenza, «come evidenziato anche dal perito, bastava il buon senso a suggerire di non lasciare il tubo del gas aperto, per cui l’imprudenza e l’imperizia dell’imputato risultano davvero imperdonabili». Una sentenza, questa, che secondo l’avvocato Neri (che segue Samuele, Mario Piazza e Valentina Rossetti) «calibra la pena verso il massimo edittale non solo per la gravità della condotta, ma anche per il comportamento avuto successivamente ai fatti». Quando l’imputato, come figura anche nella sentenza, si «è disinteressato delle conseguenze causate», dice Neri, senza «cercare i familiari e proporre un risarcimento». Fatto che, secondo Pazzaglia, «non denota mancanza di interesse, ma senso di colpa».l