Quei semi rari che raccontano la storia della Garfagnana: le 500 piante da frutto che difendono la biodiversità
Un patrimonio che si trova nel centro fondato nel 1957 a Camporgiano
CAMPORGIANO (LUCCA). Chi Vespa mangia le mele, recitava un noto slogan pubblicitario degli anni Settanta. La Garfagnana invece con le mele (ma non solo) difende storia e radici delle nostre campagne. Al centro la Piana di Camporgiano fra meli, peri, ciliegi, susini, fichi e peschi sono circa 500 le piante da frutto conservate a tutela della biodiversità. Sei specie che da sole esprimono circa 185 varietà garfagnine spesso dai toponimi locali. Un patrimonio con dimora nel centro fondato nel 1957 dapprima come vivaio forestale per le piante da rimboschimento, finché negli anni Novanta è diventato l’arca di Noè per frutti antichi e altrettanto vetusti erbi e ortaggi.
I prodotti
Insieme ai frutti i vegetali compongono infatti un inno al territorio: mela Rosa di Cerasa (località sopra Sillico), patata di Sulcina (verso il parco dell’Orecchiella), cavolo nero di Trassilico, fagiolo fico di Gallicano, zucca dell’Alpe di Capraia (nel comune di Pieve Fosciana), in nome delle aree in cui venivano maggiormente coltivati. Da un lato, quindi, il centro la Piana conserva circa 200mila fra pini domestici da cui deriva il famoso pinolo di San Rossore, querce e altre piante autoctone destinate a ripopolare i boschi, dall’altro fa da dispensa per la memoria del paniere dei nostri avi.
I referenti
«Meli e peri fra i frutti sono sicuramente le tipologie più nutrite – spiegano Pamela Daddoveri e Lorenzo Riccio, referenti per il centro – ma abbiamo anche cereali, leguminose, solanacee, cucurbitacee di cui conserviamo il seme ma spetta poi ai coltivatori custodi ripopolarne i campi».
Perché alla Piana c’è si la banca del germoplasma, ma senza il supporto dei contadini mais Ottofile, Orecchiella, granturco Nano di Verni, grano Marzuolo, orzo Scandella, segale della Garfagnana restano nomi e poco più. Che fine farebbe la storia della Garfagnana più autentica se smettessimo di raccontarla attraverso i frutti della sua terra? Come ad esempio la mela Musona che ricorda il volto del bue, ma anche quella Gelona riconoscibile per le macchie in cui si concentra lo zucchero, la Piastra dal profumo molto intenso, la Rossa di Corfino e la Rossa di Villa che sono farinose, mentre la succosa Rosa di Cerasa è fra le più tardive a maturare. E dato che i contadini ne sapevano una più del diavolo, selezionavano varietà con periodi di maturazione differenti, così se la mela Lugliese Grisanti già era pronta a metà luglio, la Perrussetto chiudeva i giochi restando ancora attaccata ai rami a novembre. C’è poi la ciliegia Marchiana che almeno fino al Secondo Dopoguerra era presente in tutti i poderi da oltre duecento anni. La susina Coscia di Monaca ha una dolcezza che va a braccetto con le confetture, la pera Verdina è presente soprattutto nella bassa Garfagnana, come la Zucchero che matura in estate regalando una polpa granulosa e molto dolce.
Fra le patate: la Rossa di Sulcina è perfetta arrosto e viene coltivata a circa mille metri d’altitudine, in un luogo in cui ancora resiste l’ultimo baluardo di circa un ettaro di eroici patatai. Del fagiolo Turco Grigio i coltivatori sanno che il tipico fiore rosso cangiante a volte viene intervallato da uno bianco, da togliere se non si vuole correre il rischio di ibridare la pianta. E se fra la forma e il gusto del fagiolo Del Guston e il Pievarino cambia poco, non altrettanto accade per chi li coltiva, dato che il primo non supera i 70 cm mentre il secondo raggiunge addirittura i due metri e mezzo. Che dire poi della segale della Garfagnana, i cui scarti un tempo coprivano i tetti delle capanne e venivano impiegati per impagliare le sedie. Il grano Noè di Pavia fu il primo a sostituire orzo e segale, battuto in coltivabilità dal Marzuolo che non oltrepassa i 70 cm di altezza. Ma c’è bisogno di coltivatori disposti a mettere a dimora questo vasto patrimonio di biodiversità di cui fa parte anche la zucca Luna, ad oggi presa in carico da un solo contadino.