Il Tirreno

Le vie del gusto

Dai monasteri ai moderni artigiani, il boom degli amari

di Irene Arquint
Dai monasteri ai moderni artigiani, il boom degli amari

Una produzione riscoperta e in espansione con la Toscana in prima fila per le nuove idee

24 febbraio 2023
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Dai monasteri alle farmacie, finché sono arrivati nelle mani di artigiani che lasciano in infusione nell’alcol radici ed erbe, fiori e bacche, rizomi e spezie, al modo dei vecchi frati. Negli ultimi anni è cresciuto il consumo degli amari, soprattutto in estate, con qualche cubetto di ghiaccio o fra gli ingredienti di drink pre e after dinner. Anche se per stimolare la digestione, qualora fosse quello il fine della bevuta, sarebbe bene consumarli prima del pasto e non dopo, come invece spesso di fa.

E la Toscana sta al passo con i tempi, producendoli in tanti piccoli laboratori sparsi nella regione. All’ultimo salone di Taste di Firenze è stata dedicata loro addirittura una sezione speciale, segno che il settore è in forte espansione.

Senza scomodare gli storici China Clementi dalla Lunigiana, dai cui boschi arriva anche l’Amaro del Partigiano, il fiorentinoElisir di China della Santa Maria Novella o quello nato nel 1855 nell’Antica Farmacia Massagli ancora affacciata su piazza San Michele a Lucca, il viaggio verso il futuro degli amari passa per nuove risorse, curiosità ed idee. Come la ricetta a base di melograno biologico presentata dalla pratese Fattoria Barbarossa che fra il Cerreto e la Maremma coltiva a melograni quattro ettari di terra. Il 25% del prodotto è costituito dall’estratto puro dei chicchi rossi, il resto sono ginepro, genziana, finocchietto selvatico, tarassaco, arancia amara con proprietà toniche e digestive. E se questo è del colore del rubino, Làbaro è invece viola, assemblato a Firenze un secolo fa ma perso nei tempi finché nel 2019 il nipote dell’ideatore della ricetta originaria ne ha rimesso a punto gli ingredienti.

Proseguendo il viaggio: Morelli di Palaia ha in catalogo tre differenti proposte da infuso d’erbe, l’ultima delle quali, la Quinta Era, ha sostituito il gin all’alcol puro. Una novità che si aggiunge alla versione classica e a quella da infuso di arance. «Sono un paio di anni che il mercato si è risvegliato da un lungo sonno profondo – spiega Luca Morelli, il titolare – Il consumo è variegato: in purezza ma anche nei cocktail».

L’Opificio Numquam di Tavola (Prato) impiega erbe e spezie da coltivazione biologica e biodinamica, non aggiunge aromi né coloranti e disegna in etichetta i nove componenti di Herbarum dalle proprietà terapeutiche, toniche, digestive e corroboranti che conferiscono a questo amaro un gusto leggermente piccante. C’è poi il Numquam dall’assemblaggio di ventiquattro componenti fra cui le scorze di agrumi.

«L’amaro è molto versatile: può fare da protagonista al posto del Campari ad esempio, oppure da correttore di sapore in un drink troppo dolce – spiega Marco Macelloni bartender del Franklin ’33 di Lucca – In Italia abbiamo il comparto liquoristico amaro più fornito al mondo. Il motivo sta nella lunga tradizione: i nostri nonni lo bevevano prima di andare a cena perché stimola i succhi gastrici e quindi la digestione». Tanto che oggi, vuoi anche un po’ per il calare dell’attenzione sui gin, cresce la sua produzione artigianale. A Chianciano Terme, Santoni realizza un infuso a freddo di rabarbaro, vari fiori ed erbe, in tutto ventisette, realizzando un prodotto trasversale che va bene liscio e miscelato.

L’Antico Amaro delle Terme viene invece infuso da un’antica ricetta affinata in botte dalla Deta che dal 1926 distilla spirits sulle Colline del Chianti Classico. A Volterra, Spiriti del Bosco utilizza le botaniche della riserva naturale della foresta di Berignone e lancia Uvamarum rifacendosi all’antica tradizione degli speziali che mescolavano il vino all’infuso di rabarbaro, pianta medicinale importata in Toscana dalla Persia e dalla Cina nell’Ottocento. A creare Maremmamaro è una donna, la distillatrice di Nannoni (Civitella Paganico): Priscilla Occhipinti «come in una passeggiata in Maremma a fine ottobre» ispirata dalla passione del marito per le piante officinali, ha scelto prugnolo, mirto, rabarbaro, genziana, china. Basato invece su una ricetta di inizi Novecento che privilegiava erbe peptiche, Pepticus è rielaborato in chiave moderna dalla Distilleria Toscana di Colle Val d’Elsa per fare esaltare la nota balsamica, perfetta in un Americano rivisitato.

«Come per la cucina, anche nei cocktail è importante rispettare il giusto equilibrio dei sapori chiamati a comporre il bouquet finale – conclude Simone Alocci dello Sparkling American Bar che riaprirà a Pasqua a Porto Santo Stefano – Serve la parte dolce, quella acida, infine quella amara che può essere anche l’elemento principale se abbastanza zuccherino. Al tutto è possibile abbinare anche una componente leggera rappresentata da un succo, tè o un altro ingrediente analcolico. E il drink è servito».
 

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