Ucciso dal batterio killer a Cisanello: Aoup condannata a risarcire
Aveva contratto la Klebsiella in ospedale: 863mila euro agli eredi
PISA. Nel maggio del 2011 un uomo di 70 anni venne ricoverato all’ospedale di Cisanello: venti giorni dopo vi sarebbe morto a causa di una gravissima infezione da klebsiella, un batterio che tende a diffondersi proprio nelle strutture sanitarie.
Ora, a distanza di oltre 13 anni, i familiari dell’uomo dovranno essere risarciti dall’Aoup per una somma complessiva di circa 863mila euro. Secondo i giudici della corte do Appello di Firenze, infatti, l’azienda ospedaliera non è stata in grado di dimostrare di aver messo in atto tutti i protocolli necessari per prevenire l’infezione. Una decisione che ha ribaltato quella di primo grado del Tribunale civile di Pisa, che aveva respinto le richieste della moglie e dei figli dell’uomo.
Il settantenne era stato ricoverato una prima volta nel reparto di malattie infettive al Santa Chiara nel febbraio del 2011, con la diagnosi di poliartrite delle grosse articolazioni, oltre a una serie di altri problemi, legati anche alla respirazione. Dopo la dimissione, il 13 maggio veniva di nuovo ricoverato a causa di un peggioramento delle condizioni, in particolare quelle relative agli indici di infiammazione. Una situazione poi peggiorata rapidamente, al punto di richiedere alcuni giorni di ricovero in rianimazione per uno choc settico. Il 20 maggio l’uomo veniva sottoposto alla rimozione d’urgenza della milza e gli esami successivo dimostravano l’infezione sia da stafilococco aureo che _ soprattutto _ da Klebsiella. L’uomo venne dunque riportato in rianimazione dove il 1° giugno del 2011 sarebbe morto.
L’individuazione della causa della morte con la Klebsiella _ scrivono i giudici nella sentenza _ è stata di fatto accertata dalle consulenze e non contestata da alcuna delle parti. Per questo il punto del processo si è spostato sulle misure che l’azienda ospedaliera avrebbe dovuto prendere per evitare contagi.
Secondo i giudici di appello, effettivamente erano state date linee di indirizzo per ridurre le infezioni: una serie di “buone pratiche” relative all’igiene delle mani, alla pulizia e disinfezione ambientale, alla sterilizzazione delle attrezzature per l’assistenza al paziente, allo smaltimento rifiuti, alla gestione della biancheria, al trasporto del paziente.
Tuttavia non c’è alcuna prova che questi protocolli fossero stati adottati nel caso in questione: “Dalla cartella relativa al ricovero del maggio 2011 _ si legge nella sentenza _ non emergono affatto annotazioni complete e significative in merito alle procedure preventive effettivamente poste in essere”. Una conclusione confermata anche dal fatto che proprio in quel periodo, nonostante i protocolli adottati, proprio l’ospedale di Pisa era nel bel mezzo di una vera e propria emergenza Klebsiella: dall’aprile del 2010 all’ottobre 2011 il batterio venne infatti isolato in circa 200 pazienti, come riportato anche in un articolo della rivista Toscana medica: “Ebbene, tale dato – sostengono i giudici - non dimostra certo l’effettiva messa in atto da parte dei sanitari delle misure preventive, anzi”. Il tutto in un paziente che era reduce da un’altra infezione che, pur debellata grazie a cicli di antibiotico, l’aveva lasciato indebolito e dunque, bisognoso di maggiori cautele.
Sulla base di tutto ciò i giudici fiorentini hanno stabilito i risarcimenti dovuti ai familiari che avevano intentato la causa: 299.553 per la moglie, 286.619 e 277.503 per ciascuno dei figli.