“Azioni illiquide”, una tutela per decine di utenti pisani: cosa sono e come devono agire gli istituti bancari
L’avvocato dell’associazione Adusbef: «Sono veri e propri investimenti, le banche non possono dire al cliente che sono strumenti mutualistici»
PISA. Azioni illiquide: come tutelarsi? Molti istituti di credito vendono azioni, sotto forma di adesione a socio. Naturalmente va benissimo aderire alla proposta, a maggior ragione perché la banca spesso consente al cliente dei benefici riguardanti i costi di gestione del conto o magari un più facile (e meno costoso) accesso al credito, o ancora dei buoni interessi sui risparmi che le affidiamo. Però c’è una precauzione necessaria: l’informativa al cliente deve essere chiara e completa, come per ogni tipo di prodotto.
Cosa sono le azioni illiquide
«Le azioni illiquide – spiega l’avvocato Alberto Foggia, delegato Adusbef Aps per Pisa e provincia, – sono titoli non quotati su mercati regolamentati, quindi il loro valore di mercato non è facilmente determinabile e la loro possibilità di smobilizzo è decisamente limitata. In pratica, questo significa che è difficile venderle e a un prezzo equo. E decine di persone hanno chiesto la nostra tutela, lamentando che il personale delle filiali di alcune banche a suo tempo le avevano sollecitate e indotte ad acquistare le azioni della stessa banca, affermando trattarsi di operazioni valide e sicure, con possibilità di rivenderle in ogni momento. Lo stesso personale per rendere forse ancor più appetibili gli acquisti, sottolineava il carattere mutualistico degli investimenti, in quanto si trattava di realtà che finanziavano l’economia del territorio e che comunque nella peggiore delle ipotesi tali istituti avrebbero riacquistato tali titoli, per cui non vi era alcun rischio di perdere le somme impiegate».
Ma non solo: «Veniva anche fatto presente che avere in portafoglio tali titoli avrebbe dato diritto ad ottenere condizioni più vantaggiose su tutti gli altri servizi bancari. Purtroppo però, al momento in cui gli investitori hanno deciso di vendere le azioni, si sono visti contestare l’impossibilità di ottenere il rimborso, salva la sola possibilità di trasferimento delle azioni fra gli stessi clienti di tali istituti».
Questo non sarebbe stato provocato da proprie iniziative ma da evoluzioni normative indipendenti da loro volontà, e i titoli acquistati non andavano considerati un vero e proprio investimento azionario ma una mera adesione a socio, con conseguente assoggettabilità agli statuti dei relativi istituti.
«Sono veri investimenti»
A detto assunto, spiega l’avvocato Foggia, «va però opposto come invece si tratti di un vero e proprio investimento, come tale, regolato dalla normativa in materia; normativa apertamente violata almeno nei casi sottoposti alla sua attenzione. In particolare, una serie di omissioni da parte degli istituti di credito rispetto a quei doveri informativi previsti in sede di acquisto di azioni che avrebbero consentito al cliente di essere consapevole della vera tipologia dello strumento finanziario che andava a sottoscrivere e così della sua natura, caratteristiche e rischi (e non solo)».
Il ruolo dell’Acf
Motivo per cui l’Adusbef pisana ha dato impulso ad una serie di contestazioni a tali banche culminate in alcune favorevoli decisioni ottenute all’Acf (Arbitro per le Controversie Finanziarie) che ha condannato gli istituti di credito al rimborso, oltre interessi e rivalutazione monetaria. In tali casi, l’Acf «Conformemente a quanto evidenziato nei ricorsi posti alla sua attenzione, ha riscontrato come in effetti gli istituti di credito interessati non avessero dimostrato di avere agito con tutta la specifica diligenza richiesta ai sensi della normativa di settore, cioè quella necessaria valutazione di adeguatezza ovvero appropriatezza dell’investimento, né di aver fornito agli investitori informazioni esaustive sulle caratteristiche e sulla rischiosità effettiva delle azioni di propria emissione e, comunque, di aver operato nel miglior interesse dei clienti». Del resto, come evidenziato dal legale, quel tipo di azioni proposte ai risparmiatori, a maggior ragione per la loro natura di titoli illiquidi, dovevano essere accompagnate da una informativa completa.
La procedura
Gli istituti di credito, dopo la decisione, hanno 30 giorni per corrispondere quanto dovuto ai ricorrenti, oppure la facoltà di dichiarare di non adempiere («comportamento – dice l’avvocato – contrario a quello che dovrebbe essere lo spirito delle norme in quanto appare piuttosto singolare che le banche prima aderiscano alla procedura dell’Acf e dopo, poiché la statuizione dell’Acf è per loro negativa, non vi adempiano, ma è comunque consentito)».
La sanzione prevista in caso di inadempimento anche parziale alla decisione dell’Acf è rappresentata dalla sua pubblicazione sul sito web del medesimo Arbitro e, a cura e spese delle banche, su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico nonché sulla pagina iniziale del sito internet degli stessi istituti di credito per la durata di sei mesi. In tal caso, conclude il legale, il cliente può comunque rivolgersi al tribunale o al giudice di pace (a seconda del valore dell’importo richiesto) avvalendosi proprio della decisione positiva dell'Acf. © RIPRODUZIONE RISERVATA