In Toscana c’è un borgo con una sola bottega rimasta: «Chiudo solo a Natale. Non mollo, altrimenti il paese muore» – Video
Vinca, Andreina Quartieri: «In oltre quarant’anni credo di non aver lavorato soltanto in un paio di occasioni, per via della morte dei miei suoceri e dei miei genitori»
VINCA (FIVIZZANO, MS). Dalla Treccani: “Resistere” «opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione». Ben diverso dal concetto di “resilienza”, termine abusato in tempi di pandemia. A incarnare lo spirito di questa terra che guarda da vicino le vette delle Alpi Apuane c’è Andreina Quartieri. È nella sua bottega, a Vinca, 800 metri circa sul livello del mare: comune di Fivizzano, provincia di Massa e Carrara; per arrivare sulla costa ci vuole più di un’ora in auto mentre le montagne sono vicinissime.
Quell’alta Lunigiana oggi diventata meta del trekking, degli appassionati di montagna, di chi ha eletto questa fetta di territorio a “buen retiro” per staccare dalla città per alcune settimane durante l’anno; poco più di ottant’anni fa, invece, tristemente nota per le stragi nazifasciste di cui proprio il paese di Vinca – per numero di vittime civili e modalità brutali – è diventata un simbolo per non dimenticare.
La memoria
«Però della strage non ne parliamo, per favore, oggi davvero non ci riesco. Basta fare un giro a Vinca e far parlare i monumenti per capire cosa sia successo in quei giorni. Basta salire qui sopra, lungo il sentiero della memoria. L’importante è che venga ricordato quanto successo sempre e non soltanto un giorno all’anno (il riferimento è alla commemorazione che si tiene ogni anno ad agosto in paese, ndr)», stoppa subito Andreina ogni tentativo di domande sull’argomento. Tra il 24 e il 27 agosto del 1944 sono oltre 170 le vittime della violenza nazifascista. «Se ho perso qualche persona vicina nella strage? Certo, il mio nonno materno: ma è toccato a tutti, quasi impossibile il contrario…».
68 anni da compiere, nell’era dei social, delle consegne a casa in poche ore e dell’e-commerce è l’esempio di chi resiste allo spopolamento dei paesi. «Se chiudo anch’io questo posto rischia di morire, altro che paese fantasma, dimenticato…».
L’ultimo baluardo
Il via-vai estivo e primaverile degli appassionati di montagna si trasforma in sbiadito ricordo in un pomeriggio feriale di fine inverno, dove anche il passaggio di un’auto fa rumore per cui vale la pena affacciarsi dalla finestra qualche secondo per scorgere la novità. Due – d’altronde – le macchine incontrate nella manciata di chilometri lungo la strada fatta di curve che separa il borgo dalla frazione di Monzone.
«E pensare che fino a 20-25 anni fa, c’erano otto botteghe e cantine, adesso sono rimasta l’unica: è inevitabile, passano gli anni. Se 30-40 anni fa c’erano 500-600 abitanti, adesso siamo poco più di 70, forse. E l’età media è molto alta». “Siamo”, perché lei ovviamente abita qui con la sua famiglia: «Che poi la contraddizione è: da un lato il paese che rischia di sparire, con sempre meno servizi, dall’altro i suoi abitanti molto anziani che invece ne avrebbero ancora più bisogno. Inoltre, la linea del bus 43, quella che fa la provinciale per Vinca, è stata soppressa nella seconda parte di ottobre 2024: c’è un’ordinanza (provinciale del 21 ottobre, ndr), non so se sia ripartita…».
La storia
Da oltre quarant’anni – era il 1981, per la precisione – Andreina Quartieri ha la bottega-alimentari qui, all’ingresso del paese in via Mazzante. Generi vari, proprio come le botteghe di una volta. E non può mancare il famoso pane, il pane di Vinca: «Sono qui dal 1981, l’attività mi è stata lasciata dalla nonna di mio marito. Aveva lo storico forno dopo la guerra, io poi l’ho rifatto. Ho il forno a legna e ogni mattina facciamo il pane e la focaccia. Il segreto del pane così buono? L’acqua di qui…».
Poi un “pezzo” di quotidianità, della vita di tutti i giorni: «Le persone del posto e delle zone attorno passano soprattutto la mattina, per fare la spesa. Poi ci sono i camminatori di montagna e i turisti – soprattutto stranieri –, specialmente nei fine settimana. Ovviamente nelle stagioni buone, quando il clima è favorevole, il via-vai aumenta».
«Non chiudo mai…»
E lei, chiaramente, è qui. «Anche perché non chiudo mai, sono aperta dalle 7 fino a quando c’è gente. Mi alzo alle 5 tutte le mattine, estate-inverno, festivi e feriali. E vengo in bottega dopo aver pensato al pane (alla focaccia). Chiudo soltanto il giorno di Natale, il 25. In oltre quarant’anni credo di aver chiuso soltanto in un paio di occasioni, per via della morte dei miei suoceri e dei miei genitori».
Poi il messaggio finale che fa da fil rouge, che tiene insieme e che sintetizza alla perfezione i concetti: «Se chiudo, questo posto rischia di morire, altro che paese fantasma. Poi lo faccio per passione, la passione di stare con le persone: tengo tantissimo a questo lavoro, sono 44 anni… e poi, ormai, la bottega è un punto di riferimento anche sociale, per tutti. Il futuro? Pensiamo a oggi, ho un figlio che fa tutt’altro e un nipote che studia, ma pensiamo al presente».