Marmo, focus sugli utili record. Venturi: ma ora c’è contrazione
Il presidente di Confindustria a confronto con l’inviato di Report
CARRARA. Ci sono anche agli utili record delle imprese più importanti del marmo, al centro dell’inchiesta che l’inviato di Report Bernardo Iovene sta conducendo sul pianeta cave.
Il giornalista, fra gli spunti, ha utilizzato anche le pagine pubblicate nel gennaio scorso del Tirreno, nelle quali si spiegava che l’anno solare 2022 è stato davvero d’oro per alcune società del settore lapideo.
Il riferimento in particolare era ad un tris d’assi di aziende del marmo di Carrara con percentuali di utili su fatturato intorno al 48%. Insomma, facevamo notare, tre aziende che da sole raggiungevano quasi quota 50 milioni di utili, quindi guadagni veri dai quali erano ovviamente già state detratte le tasse nazionali e locali.
Di questo, e molto altro, Bernardo Iovene ha parlato con il presidente di Confindustria Matteo Venturi, con il quale ha trascorso alcune ore fra cave, visite al piano e sede associativa.
L’inchiesta probabilmente sarà trasmessa tra fine aprile e maggio, perché attualmente Report è in un momento di pausa.
Dottor Matteo Venturi, cosa si risponde di fronte a utili di quasi il 50%, sconosciuti alla stragrande maggioranza delle imprese non solo italiane?
«La risposta è che il bilancio di un’attività di escavazione, che quindi ha a che fare con la natura, deve essere analizzato in un lasso temporale sufficientemente ampio, non solo nel momento in cui è in produzione e quindi è in una fase favorevole di vendita, ma bisognerebbe valutarlo anche quando sono in corso l’approntamento e la preparazione, quando prevalgono costi e perdite. C’è un altro punto chiave: abbiamo a che fare con una materia naturale, le Apuane non sono un pozzo di petrolio pronto da cui estrai e basta, qui ci sono imprese grandi, medie e piccole, che attraversano fasi alterne e tutte con la medesima dignità e noi le dobbiamo rappresentare tutte, ognuna con le proprie specificità, fasi temporali e, direi, sorti. Inoltre, quei dati si riferivamo al 2022, ormai la materia prima naturale è un prodotto global, e al momento vediamo una contrazione di mercato, in cui le tensioni internazionali certamente non aiutano».
Altro tema su cui sappiamo Report sta insistendo: la battaglia delle imprese per ripristinare le concessioni “perpetue” delle Leggi estensi.
«Quello delle concessioni e del loro inquadramento giuridico è una materia estremamente complessa, e non parte da oggi o da ieri, ma da molti secoli addietro; come ripeto spesso, l’obiettivo degli imprenditori non è andare ogni mattina dai propri legali, questo è un mito da sfatare. Le imprese vogliono lavorare nella certezza del diritto, e chiedono se si sta interpretando correttamente o meno una norma; se poi i tribunali ci diranno che abbiamo torto, o ragione, ne prenderemo atto. Io avrei voluto disinnescare il conflitto giudiziario, in città e non solo c’è una sedimentazione, una stratificazione di tutta una serie di convincimenti che non sono veritieri; non è vero che si sbriciolano le montagne per fare il carbonato. Guardi, le assicuro: non siamo brutti sporchi e cattivi, è nel materiale ornamentale che abbiamo le marginalità, semmai c’è da dire che non buttiamo via nulla, questa è la parte virtuosa, i residui dell’estrazione dei blocchi, i cosiddetti materiali di derivazione, li inseriamo in un ciclo produttivo, la nostra ormai è un’economia circolare in cui sempre più domina il riuso».
E sul nodo marmettola?
«Su questo tema, sicuramente le normative sono oggi più stringenti e vi è una sensibilità che 40 anni fa non c’era; quando piove in modo intenso, in altre zone d’Italia i fiumi diventano marroncini per la terra dilavata, qui a volte bianchi perché la pioggia intercetta depositi che purtroppo ci sono ancora. Ma è un dato di fatto che ci sono cave in cui la polvere di taglio non tocca neppure terra, oppure è subito raccolta, stoccata e portata a valle. Ma allora faccio io una domanda: chi si può permettere un impianto all’avanguardia e garanzie ambientali? Solo un settore produttivo che ha marginalità, la sostenibilità e la virtuosità sono in grado di sostenere costi importanti di migliori pratiche di gestione ambientale».
Ma perché la conflittualità non cessa?
«La strada è una sola: bisogna instaurare un dialogo costante con tutti i portatori d’interesse, compresi gli ambientalisti, e disinnescare questa conflittualità controproducente per tutti. Carrara è marmo e marmo è Carrara, e questa città non può vivere senza i ricavi del marmo. Bisogna trovare un modo di convivere rispettoso dell’ambiente e degli interessi di tutti, e lo sottolineo, l’utile d’impresa non è un peccato. Non si può cancellare una storia plurimillenaria perché qualcuno punta il dito e pensa di essere depositario di certezze. Il primo a essere rispettoso dell’ambiente è l’imprenditore, che oltretutto lavora in un settore il cui perimetro è disciplinato, ci sono gli organi ispettivi che controllano, non è corretto sentirsi additati come dei banditi. Ovunque gli imprenditori sono orgogliosi dei propri utili».
Il tema delle gare?
«Le gare sicuramente si faranno fra 18 anni, l’importante è che non si verifichi quello che c’è stato nell’acciaio, e cioé che uno straniero acquisisce portafoglio clienti, know how e poi delocalizza la produzione. Ricordiamo poi che l’Italia rappresenta una piccolissima percentuale della produzione mondiale della pietra naturale, ormai il marmo è ovunque. Ma qui, altro elemento, i quantitativi dell’escavato sono in calo, ma i prezzi in salita, significa che riusciamo a risparmiare materia prima e significa che il marmo “born in Carrara” ancora ha il suo glamour e appetibilità internazionale, e come diciamo sempre il marmo è un lusso accessibile, esiste certamente l’alta gamma ma è possibile avere prodotti ornamentali naturali a prezzi più competitivi».
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