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Marchio del Marmo di Carrara, l’accordo prevede la contitolarità

M.B.
Marchio del Marmo di Carrara, l’accordo prevede la contitolarità

Nuovi particolari sull’intesa tra Camera di Commercio e Associazione Donne, ma potrebbero esserci sorprese

07 maggio 2022
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Carrara. La bozza di accordo ormai c’è, come abbiamo scritto ieri, il dialogo di queste settimane è stato fruttuoso e quindi tra l’associazione Donne del Marmo e la Camera di Commercio è vicina la firma sul contratto che metterà nero su bianco la contitolarità del marchio “Marmo di Carrara”, depositato come noto un anno fa dall’Associazione presieduta da Sara Vannucci. Le trattative sono state portate avanti in particolare dall’avvocato Paolo Pasquali per l’Associazione delle Donne del Marmo, e dal commissario della Camera di Commercio Dino Sodini, profondo conoscitore della problematica perché come più volte scritto dal Tirreno, già dieci anni fa si era fatto promotore di una iniziativa analoga, arrivando anche a predisporre un apposito Consorzio, un disciplinare, un regolamento e uno statuto; il Consorzio esiste sempre, ma di fatto non ha mai dato gambe al progetto del marchio, non depositando mai quanto era stato messo a punto da Orazio Olivieri, uno dei massimi esperti a livello nazionale e non solo sui marchi di tutela e protezione.

La parola chiave dell’accordo raggiunto è la contitolarità del marchio, con la maggioranza saldamente in mano all’ente camerale, e l’impegno comune a cedere la licenza d’uso gratuita ad un Consorzio di tutela e qualità che lo gestisca e ne controlli l’utilizzo

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C’è un aspetto dell’accordo che però potrebbe trovare delle resistenze da parte degli industriali carraresi: l’accordo prevede che l’attuale Consorzio del Marmo di Carrara, se interessato alla gestione di questo marchio già depositato, allarghi la propria compagine, sia agli enti pubblici (Comuni, Provincia, la stessa Camera di Commercio) sia alle imprese dell’area apuo-versiliese.

Da quanto emerge, in realtà, l’idea di partenza delle aziende più importanti di Carrara, è di puntare ad un marchio di tutela e qualità prettamente carrarese; con in prospettiva la possibilità di un eventuale allargamento, ma nel segno della chiarezza: il Marmo di Carrara, banalmente, è quello estratto a Carrara. In ogni caso, sono aspetti che si chiariranno nel giro di poco tempo.

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Adesso c’è il passo avanti importante che dopo un anno dal deposito, il marchio rientra di fatto nell’alveo di un garante pubblico come la Camera di Commercio.

Certamente, in questi mesi in cui è diventato pubblico il deposito del marchio (il primo articolo del Tirreno sull’argomento risale agli inizi di febbraio), le imprese e le associazioni hanno valutato varie possibilità. E fra queste, sta prendendo campo l’ipotesi di depositare uno o due marchi alternativi. Tra i nomi che circolano, “Marmi di Carrara” e “I Marmi di Carrara”.

Al di là dei nomi, a decretare il successo o meno di queste iniziative è l’adesione dei big. Alcuni dei quali hanno già marchi di tutela per alcuni prodotti propri famosi, per le singole aziende; ma che potrebbero anche essere interessati ad un nuovo strumento identitario, garanzia fra l’altro di tracciabilità e di sostenibilità ambientale. Insomma, un valore aggiunto.

L'Associazione Nazionale Le Donne del Marmo, associazione che riunisce circa duecento imprenditrici, di varie regioni, e non solo del settore del lapideo, nel suo marchio indica che il marmo deve essere estratto nei bacini apuo-versiliesi. L’accordo con la Camera di Commercio prevede comunque che con il Consorzio di gestione si ridefinisca anche il regolamento, il disciplinare d’uso e lo Statuto.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, la mossa delle Donne del Marmo ha comunque avuto il merito di riaccendere l’attenzione sulla necessitò di un marchio di tutela, in un mondo globalizzato e in cui molti provano a far passare per marmo di Carrara ciò che non lo è. Approfittando di una notorietà altissima, millenaria, sancita anche dalla Commissione europea che nel 2014 fece i nomi di soli quattro grandi prodotti europei, cioè proprio il Marmo di Carrara, il Cristallo di Boemia, il tessuto di Tartan scozzese e gli arazzi di Aubusson, nel proporre gli esempi di prodotti non agricoli da proteggere con indicazione geografica, in modo da valorizzare il tradizionale know-how europeo (questo era il tema).

Non basta essere un marchio di fatto. Non resta che verificare se gli industriali daranno gambe all’accordo trovato tra associazione ed ente camerale oppure se preferiranno i marchi alternativi.

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