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Livorno, dopo il furto di oro e soldi medico prende un maxi-risarcimento: respinta la richiesta di altri soldi

Livorno, dopo il furto di oro e soldi medico prende un maxi-risarcimento: respinta la richiesta di altri soldi

Neurologo ottiene 50mila euro, il giudice si è opposto all’ulteriore richiesta di 20mila euro motivata dal raddoppio di alcuni massimali

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LIVORNO.  Aveva già riscosso un risarcimento di quasi 50mila euro dalla compagnia assicurativa dopo il maxi-furto subìto nella sua casa. Ma ne avrebbe voluti altri 20mila, in base a un «raddoppio del massimale» previsto in un passaggio del contratto della polizza che però, secondo il giudice, non sussiste in quanto «non c’è stata effrazione». Resta comunque un rimborso molto importante quello ottenuto da un neurologo livornese che il 21 dicembre del 2016 ha subìto l’odioso episodio mentre si trovava fuori dalla sua villa della Mazzanta, a Cecina, anche se ora dovrà rimborsare l’assicurazione per oltre 2.500 euro di spese di lite.

La dinamica del raid

Nella sentenza del giudice Giulio Scaramuzzino, depositata lo scorso 19 dicembre, viene ricostruita l’intera dinamica del raid. «Tutto è accaduto alle 17,15 – si legge nella pronuncia – dopo che l’assicurato e la moglie, avendo inserito soltanto i sensori perimetrali dell’impianto d’allarme poiché nell’abitazione erano presenti i loro tre cani, erano usciti di casa. Al loro rientro, alle 18,30, hanno trovato la porta d’ingresso ancora chiusa, ma una volta dentro gli ambienti erano in disordine e uno dei loro animali era come stordito. I ladri, dopo aver dapprima manomesso la sirena esterna dell’impianto d’allarme installata sotto il portico sul lato principale dell’abitazione, erano entrati in giardino. Poi, raggiunta la finestra della cucina al piano terra, ne avevano forzato con arnesi a leva l’infisso in alluminio e i vetri antisfondamento, procurando danni al sistema di chiusura e ai profili. Al contrario, la persiana esterna non mostrava segni di effrazione ed evidentemente doveva essere rimasta aperta. L’allarme è entrato in funzione, ma la sirena non ha emesso suoni in quanto era stata disattivata dai ladri. Il segnale di allarme non è stato inviato alla vigilanza per mancata attivazione delle schede sim del gsm».

Il bottino

«A dire della famiglia – si legge ancora nella sentenza – i malviventi si sono impossessati dell’argenteria sui mobili e dentro le vetrine, nonché di gioielli rinvenuti in un cassetto a scomparsa dentro un armadio, nonché di una somma in contanti pari a 13mila euro, in banconote di vario taglio, nascosta all’interno di un libro posto sul piano superiore di un mobile. Inoltre, i ladri hanno trovato all’interno di un cassetto la chiave della cassaforte a muro e quindi, senza ricorrere a effrazioni, l’hanno aperta e svuotata dei preziosi».

Richiesta respinta

Secondo i derubati, assistiti dall’avvocato Fabio Ercolini, il contratto stipulato con l’assicurazione doveva prevedere un raddoppio dell’ammontare dei danni in caso di effrazione. Tradotto: il valore dei beni dentro la cassaforte deve essere risarcito per il doppio del loro costo, per un risarcimento totale quindi più alto rispetto a quello liquidato dalla compagnia. Peccato che, appunto, non ci sia stata effrazione. «Emerge – spiega il giudice – che non è operante il raddoppio del massimale per i preziosi custoditi in cassaforte dal momento che la garanzia si intende raddoppiata in riferimento ai beni riposti in cassaforte, purché vi sia effrazione, ciò che nel caso non è avvenuto, in quanto i malviventi hanno reperito la chiave in un cassetto». Inoltre, secondo il tribunale civile, «non è stato sufficientemente provato il maggior danno indennizzabile, dovendosi ricordare che il principio generale in tema di onere della prova in ambito di contratto di assicurazione prevede che gravi sull’assicurato la prova dell’elemento costitutivo del diritto all'indennizzo». Insomma non vi è prova «dell’esistenza dei 13mila euro in contanti, del valore dell’argenteria sulla cui stima un testimone ascoltato ha dichiarato essersi trattato di una valutazione approssimativa (“lì la stima è più approssimativa dato l’ingombro degli oggetti stessi, che non rende possibile la misurazione su bilancia di precisione”) e di cosa fosse contenuto all’interno della cassaforte e cosa, al contrario, si trovasse all’esterno».

«Ricorso in appello»

Ercolini farà ricorso: «La decisione – le sue parole – verrà sicuramente appellata perché giuridicamente sbagliata: le clausole di una polizza si interpretano sempre a favore del contraente più debole, ovvero l’assicurato».  l

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