La Valle Benedetta, il tesoro dei pirati e il mistero del quarto Moro
I vecchi raccontano: «Quei bimbi coi capelli di lana». Chi è l’africano scolpito nella celebre statua?
"È nato un altro bimbo dai capelli con la lana. Da chi avrà preso?". Succede da sempre alla Valle Benedetta che periodicamente ci siano neonati con la pelle bianca ma con qualche carattere tipico dei neri d’Africa. Tutti da sempre sanno il perché ma nessuno per secoli ha avuto il coraggio di dirlo. «Perché quei bimbi - raccontano i vecchi - sono in qualche modo discendenti dai pirati che per almeno trecento anni, dal 1300 al 1600 hanno abitato le nostre colline. Dopo le scorribande lungo la costa, nascoste le imbarcazioni nelle grotte del Romito venivano a rifugiarsi qui, sicuri che nessuno avrebbe avuto il coraggio di addentrarsi nella Valle Inferno, come si chiamavano fino al diciottesimo secolo le nostre colline».
Il più celebre dei pirati è stato il Moro della Valle ed ha "operato" appunto fino al 1600. Proprio negli anni in cui Livorno veniva consacrata città (19 marzo 1606) e lo scultore Pietro Tacca riceveva l’incarico di realizzare il gruppo dei Quattro Mori che doveva valorizzare il monumento a Ferdinando scolpito da Bandini. Nel 1607 Tacca, dopo molti tentativi che non lo soddisfano, è a Livorno, al Bagno Penale che si trovava dove ora è la questura. Sceglie due modelli, Morgiano, un greco ed il turco Melioco. Ai quali poi aggiunge il berbero Alì Salettino. Tutti hanno caratteristiche caucasiche, come si diceva all’epoca mentre il quarto, del quale non si sa nulla, è chiaramente un nero africano. Sì, nero: gli altri tre hanno quel colore solo perché sono stati realizzati in bronzo. Tra l’altro, nei bozzetti esposti presso il Museo della città, il volto di due dei quattro è completamente diverso: i caratteri sono chiaramente europei. Ma poi Tacca li modifica dandogli le sembianze attuali. Doveva riprodurre dei pirati berberi o saraceni e comunque arabi e musulmani: sarebbe stato imbarazzante vedere ai piedi del Granduca qualcuno che poteva ricordare dei puri occidentali. Il quarto soggetto sconosciuto del monumento simbolo di Livorno veniva forse dalla comunità di pirati della Valle Benedetta? La leggenda ci dice di sì e non si esclude che il Moro sia proprio lui.
Attingiamo ancora alle tante storie che si tramandano da secoli alla Valle Benedetta. Allo sbarco di cavalieri templari di ritorno dalla quinta crociata che sarebbe avvenuto nel 1221 nei pressi di Ardenza. I cavalieri, al comando di Roberto Da Volterra sono in missione segreta per conto del Vaticano. Hanno un carico prezioso: una grande quantità di oro, reliquie ed uno strano macchinario che loro chiamano il "Trono degli ebrei" e che sarebbe addirittura il cronovisore, la mitica macchina del tempo. Si fermano a Livorno per far curare uno di loro, rimasto paralizzato durante una battaglia al momento dell’imbarco dal porto di Damietta, in Egitto. Il cavaliere viene guarito grazie ad un particolare rito praticato con l’Acquaviva, nella zona dove ora sorge l’Accademia navale. Ma la barca, la Phoenix non può ripartire, si è arenata. E in virtù dei poteri della macchina del tempo, racconta ancora la leggenda, il fasciame torna ad essere un albero e fiorisce. Ai cavalieri non resta che nascondere il tesoro sulle colline di Livorno. Ma non tutto perché una parte devono consegnarla ai turcopoli, truppe mercenarie di cavalleria leggera che li hanno seguiti. Ricevuto il loro compenso in oro i turcopoli si stabiliscono sulle colline della Valle Benedetta e si dedicano alla pirateria. Fanno scorrerie lungo la costa eppoi scompaiono: nascondono le imbarcazioni in grotte segrete sotto al Castello di Sonnino (ma a quel tempo c’era solo la torre San Salvatore) quindi raggiungono la Valle e le zone limitrofe dove hanno case e famiglie. Sempre leggenda vuole che l’oro ricevuto ed i tesori accumulati nel corso dei secoli siano ancora nascosti in uno o più nascondigli della Valle. Ed infatti ancora oggi la zona è frequentata da "escursionisti" col metal detector. Ed il monastero della Sambuca continua ad essere oggetto di scavi clandestini.Se è arrivato nelle profondità delle tante gallerie sotterranee che pare siano presenti sotto la chiesa della Valle e sulle altre colline vicine. Durante i lavori di consolidamento della chiesa negli anni cinquanta sotto il pavimento della navata si scoprì un pozzo profondo. Il parroco dell’epoca, don Primo, scese con una scala lunghissima e ritornò su con in mano un teschio. Di chi era? E cos’altro c’era sotto? Don Primo fece coprire tutto. Saranno in una di quelle gallerie i tesori del Moro e dei suoi accoliti?
Ed il Moro dove sarà finito se non è il quarto del monumento? La risposta potrebbe venire da una "notizia in breve" riportata sul giornale La Gazzetta livornese nel 1895. "Giorni sono- ci racconta il cronista - mentre nella vetusta torre del Romito che testé il barone Sonnino ha acquistato dal signor Pierozzini per ridurla a residenza estiva, si effettuavano lavori di restauro, sotto il solaio della terrazza fu rinvenuto uno scheletro ben conservato che avea presso di sé una piccola chiave di forma antica ed una corona con medaglia d’argento. Da questa si è potuto rilevare che lo scheletro risalisse almeno a 200 anni addietro". La chiave di un forziere?
(4-continua)