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Il processo

Omicidio Cecchettin, Turetta in aula: «Ho pensato di rapire Giulia, ucciderla e suicidarmi»


	Filippo Turetta in aula
Filippo Turetta in aula

L’interrogatorio dell’imputato davanti alla Corte d’Assise di Venezia. Presente anche il padre della vittima

25 ottobre 2024
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VENEZIA. Filippo Turetta, che ha confessato l'omicidio della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate nel novembre 2023 in un parcheggio a Fossò, è in tribunale per l'interrogatorio nel processo a suo carico, davanti alla Corte d'Assise di Venezia. Presente anche il padre della vittima, Gino, mentre la sorella Elena Cecchettin non è presente. «Oggi e lunedì non sarò presente in aula, non per disinteresse, ma per prendermi cura di me stessa», ha scritto la giovane donna in una storia su Instagram.

Risposte incerte, sguardo basso, Filippo Turetta, parla con frasi brevi, incespica, sembra confuso e tiene lontano lo sguardo dai banchi e dal pubblico. «Voglio raccontare tutto quello che è successo», dice davanti alla corte d'Assise di Venezia spiegando che le sue diverse memorie scritte nascono dal «mettere per iscritto le cose che mi venivano in mente, alcune cose non me la sentivo di descriverle sul momento».

La premeditazione

«Ho pensato di toglierle la vita». Filippo Turetta risponde così al pm di Venezia Andrea Petroni che gli chiede se compilando la lista del 7 novembre (con gli strumenti per legarla e i coltelli, ndr) avesse già in mente il delitto. «Quella sera scrivendo quella lista ho ipotizzato questo piano, questa cosa, di stare un po' insieme e di farle del male – dice dal banco degli imputati – Ero arrabbiato, avevo tanti pensieri, provavo un risentimento che avessimo ancora litigato, che fosse un bruttissimo periodo, che io volessi tornare insieme e così…non lo so…in un certo senso mi faceva piacere scrivere questa lista per sfogarmi, ipotizzare questa lista che mi tranquillizzava, pensare che le cose potessero cambiare», aggiunge l'imputato. «Era come se ancora non la dovessi definire, ma l'avevo buttata giù».

«Volevo rapirla, uccidermi e togliermi la vita»

«Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata così sarebbe stato possibile stare più tempo insieme e sarebbe stato più difficile trovarci, dopo inevitabilmente saremmo stati trovati. Poi aggredirla e togliere la vita a lei e poi a me…alla fine è per questo che ho cercato quei luoghi isolati», ha detto Turetta. «'I coltelli li ho messi in auto in quella settimana, deve essere stato uno di quei giorni: mercoledì, giovedì o venerdì…», comunque prima dell'11 novembre scorso, giorno del delitto. «I coltelli non li ho messi per suicidarmi, come ho detto nel primo interrogatorio, ma sempre al fine di eventualmente aggredirla», aggiunge l'imputato durante il suo difficile interrogatorio. «Eventualmente aggredirla» lo scrive nella memoria che il pm legge in aula, ma Turetta non pronuncia le due parole «perché è difficile dirle», aggiunge. «Forse ne ho presi due per avere più sicurezza…» svela. «Quel giorno ho comprato dell'altro scotch, non lo so perché me ne serviva un terzo», dopo averlo già comprato online, «forse perché mi sentivo più sicuro nel farlo, forse perché non sapevo se gli altri due andavano bene». 

«Col coltello in mano colpivo a caso»

«Non lo so, forse l'ho colpita, può essere per questa…non mi ricordo se l'ho fatto o meno in quel momento, ricordo che avevo il coltello in mano e poi si è rotto il manico, forse l'ho colpita…», ha detto ancora Turetta. In aula vengono mostrate le foto delle macchie di sangue lasciate sull'asfalto del parcheggio di Vigonovo (Padova), a 150 metri da casa Cecchettin dove avviene la prima aggressione. Turetta costringe la ventiduenne a salire in auto e qui «devo essermi girato e - racconta in aula - devo averla colpita anche in macchina. Lei si muoveva e volevo farla stare ferma, l'ho colpita ma non ricordo come…forse un colpo sulla coscia, poi non lo so. Non ricordo quante volte, almeno una volta l'ho colpita poi non so dire quanto e dove…non guardando bene, davo colpi a caso». È nell'area industriale di Fossó (Venezia) che Giulia Cecchettin, che tenta la fuga, viene accoltellata a morte. «Non lo so in quel momento lì, non lo so…lei si opponeva, non sarei riuscito mai a riportarla dentro in macchina». Un racconto che cozza con l'idea di rapimento che l'imputato racconta e che, soprattutto, non spiega perché il ventiduenne sia sceso dall'auto con un nuovo coltello. La fuga con il corpo della laureanda in Ingegneria biomedica procede fino al lago di Barcis (uno dei luoghi indicati nella 'lista di preparazione', ndr), poi il viaggio di Turetta continua in solitaria tra le montagne - dove fallisce il suo proposito di suicidio - fino in Germania, dove si arrende a una settimana dal delitto.

«Ho nascosto il corpo per non vedere le sue condizioni»

«Non ha molto senso, ma io comunque mi rendevo conto che aveva delle ferite, che era in cattive condizioni. Sì, sapevo che non c'era più, ma in che condizioni fosse. Pensavo che fosse meglio non vedere, perché sono immagini brutte», ha detto Filippo Turetta. L’avvocato Nicodemo Gentile, che rappresenta Elena Cecchettin, sorella della vittima, parte civile nel processo, ha chiesto il motivo per il quale, Turetta abbia «occultato con sacchi neri dell'immondizia anche l'anfratto», all'interno del quale il 23enne aveva già nascosto il cadavere della vittima.

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