Argentario, violenza sessuale: assolto. «La costrizione non è certa»
L’uomo era finito sotto processo per un episodio dell’agosto 2020
MONTE ARGENTARIO. Hanno preso in considerazione le parole della ragazza, le hanno messe a confronto con quelle di lui e con quanto dichiarato dall’amica di lei. Hanno considerato i precedenti e quello che era avvenuto quella sera. E poi hanno concluso. No, non c’è la certezza che quel rapporto sessuale completo sia avvenuto contro la volontà di lei, oggi poco più che trentenne, quel 12 agosto 2020. C’è un «ragionevole dubbio» e questo è stato risolto dal collegio del Tribunale di Grosseto a favore dell’imputato: assolto perché il fatto non sussiste, come aveva del resto chiesto l’accusa al termine del dibattimento.
Probabilmente, è stata una domanda del suo difensore, l’avvocato Alessandro Antichi, a cominciare a orientare il convincimento dei giudici, come del resto da loro stessi segnalato nelle motivazioni di assoluzione del 39enne, originario della Costa d’Argento e abitante fuori regione: «Ma è vero – ha chiesto il difensore all’amica di lei, straniera, tramite interprete di inglese – che quella sera hanno fatto il gioco obbligo o verità?». «Sì, si sono spogliati e sono andati in piscina, rimanendo in mutande». Secondo il collegio «in questo contesto – che si può ritenere connotato da una certa allegria, anche per il consumo di bevande alcoliche – sia l’imputato sia la ragazza hanno liberamente deciso di adottare quale passatempo un gioco in cui i partecipanti finiscono per spogliarsi, e lo hanno fatto seppur rimanendo alla fine con indosso soltanto l’intimo».
Ma non c’è solamente questo aspetto. C’è una serie di questioni ai quali i tre giudici (Adolfo Di Zenzo presidente, Laura Previti e Ludovica Monachesi) hanno riservato una lettura da loro ritenuta doverosa. Questioni precedenti a quella serata afosa trascorsa in una villa della Costa d’Argento, a casa di lei. Innanzi tutto, era stata lei a contattare lui su Tinder: «Cercavo un modo di conoscere persone del posto». C’era stato un primo incontro, l’8 agosto, al quale era presente appunto l’amica straniera di lei, avvenuto in un locale notturno: lui aveva indirizzato le attenzioni alla straniera con un singolare approccio, un morso/succhiotto sul collo. Lei si era arrabbiata, perché lui ci aveva provato, lui aveva smesso subito. Ma ciò sarebbe indizio della manifesta volontà dell’imputato di andare oltre semplici amicizie perché quel gesto avrebbe avuto chiara connotazione sessuale.
Atteggiamento ripetuto subito dopo con la giovane donna, cui allora lui aveva destinato le proprie attenzioni; lei si era rifiutata di andare oltre, dichiarando di essere già impegnata, ma non lo avrebbe fatto in modo netto. Lei aveva poi invitato lui il 12 agosto, a casa sua, dove c’era anche l’amica: “Vieni a bere qualcosa?”. Spritz, limoncello, il gioco in piscina. Poi i fatti contestati: un rapporto consensuale, secondo la difesa; un’imposizione secondo la giovane donna e il suo difensore, l’avvocata Francesca Carnicelli con la quale si era costituita parte civile (il legale si riserva adesso di valutare eventuali azioni). Ma i rapporti – e lo dicono entrambe le parti, ricostruendo tempi, luogo e modalità piuttosto dettagliatamente – erano stati almeno due: tra l’uno e l’altro la giovane donna avrebbe potuto allontanarsi o comunque manifestare la propria contrarietà, anche perché la quantità modesta di alcol non avrebbe potuto secondo i magistrati annullare la sua possibilità di reagire. E invece ciò non era avvenuto. E lei non aveva fatto cenno nelle sue dichiarazioni al gioco in piscina.
Da tutte queste considerazioni combinate tra di loro nasce nel collegio il «ragionevole dubbio» che «la persona offesa avesse alla fine accettato di essere l’oggetto sessuale dell’imputato e che lo sviluppo di questa consapevole accettazione, maturata dopo i reiterati approcci dell’imputato, l’avesse convinta (seppure per quel limitato periodo in cui sono avvenuti i rapporti sessuali) ad aderirvi volontariamente». Lei lo aveva invitato, lei lo aveva voluto incontrare una seconda volta, entrambi si erano spogliati per un gioco contenente sfumature sessuali. Lei potrebbe aver ceduto alla leggerezza, cedendo alle avances salvo poi pentirsi al momento in cui (ma soltanto al secondo rapporto) era intervenuta l’amica.
Ma lei il giorno dopo gli aveva scritto «Mi fai schifo» in un messaggino, aggiungendo «sei uno stronzo»: tutto questo qualcosa vorrà dire. Frasi non chiare, secondo il collegio, perché non c’è alcun riferimento ad alcuna violenza. Quelle parole sono, secondo i giudici, compatibili con il ragionevole dubbio che «la donna si fosse pentita dei rapporti sessuali», cui non sarebbe stata costretta, per un’evoluzione di una situazione caratterizzata «da un’attrazione fisica reciproca». Dunque l’assoluzione, «in quanto non risulta possibile conferire una piena e assoluta credibilità della persona offesa, presupposto necessario per pervenire a un giudizio di colpevolezza».
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