La dedica al papà che non c’è più e il nonno-bandiera: «Io, Pietro Fortini»
I sogni del 18enne nipote di Bruno Bartoli
PIETRASANTA. Prima un bacio al tatuaggio con i due cuori che porta su un braccio, uguale a quello che aveva papà Massimo scomparso prematuramente. Poi un’occhiata alle tribune alla ricerca di mamma Iliana, nonno Bruno e la fidanzata Matilde. È il rituale che ogni domenica Pietro Fortini, arrembante difensore di fascia mancina del Pietrasanta, effettua prima di scendere in campo.
Diciotto anni, alla seconda stagione con la prima squadra biancoceleste con la quale, in quella passata ha collezionato qualche presenza nel vittorioso campionato di Prima categoria, ha come si dice in questi casi il biancoceleste tatuato sulla pelle. Il nonno materno, Bruno Bartoli, è stato dirigente del Pietrasanta a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. L’uomo mercato della società, quello che mise a segno il colpo più sensazionale, in uscita, nella storia del club di via del Crocialetto: la cessione di Ricciarelli e Bruzzone alla Fiorentina dopo il successo nel campionato di serie D 1978/1979, che portò nelle casse sociali una cifra superiore ai 250 milioni delle vecchie lire più l’incasso di due amichevoli con la Viola. E anche il giovane Pietro sogna di scrivere pagine importanti per la squadra della sua città, senza tralasciare il sogno di approdare tra i professionisti come un altro Fortini, Simone, cugino di papà Massimo (al quale somiglia molto sia fisicamente che nel modo di affondare sulla fascia) che tra il 1992 ed il 2002 vestì le maglie di Lucchese, Viareggio, Massese, Pontedera, Marsala, Palermo e San Marino.
Cosa vuol dire per lei essere nipote di Bruno Bartoli, icona del Pietrasanta?
«Significa sentire parlare da sempre della storia del Pietrasanta. Della famosa cessione di Ricciarelli e Bruzzone; oppure di Due, il famoso cane sempre presente alle partite e che, diceva il nonno, aveva visto più partite di tutti in Italia».
Nel valutare le sue prestazioni il nonno fa prevalere più il bastone o la carota?
«È molto critico. Ma essendo il suo un parere attendibile lo sto ad ascoltare con attenzione».
Sicuramente più tenera sarà la mamma.
«Non è molto appassionata di calcio ma viene a vedere tutte le gare casalinghe. Di solito mi racconta quello che dicono i tifosi sulle nostre prestazioni».
Qualche settimana fa ha segnato il gol partita contro il Maliseti per la prima vittoria in campionato della sua squadra. Cosa ha pensato?
«Contento perché finalmente avevamo vinto una partita, e poi perché di gol ne ho segnati sempre pochi».
E per questo la dedica è stata d’obbligo. A chi è andata?
«A mio papà che ci ha lasciato prematuramente. Ho subito baciato il tatuaggio con i due cuori che porto su un braccio, uguale a quello che aveva lui».
Come è sbocciato il suo amore per il calcio?
«Edoardo, mio fratello maggiore, giocava nei ragazzi del Pietrasanta e così ho iniziato a tirare calci ad un pallone. Dopo sono andato al Real Forte e poi il ritorno al Pietrasanta. Sono contento della scelta perché la società lavora con grande professionalità e non ci fa mancare niente».
Ha sempre giocato da difensore?
«Sempre da difensore esterno. Un ruolo che mi piace, perché mi consente di partecipare alla fase offensiva».
Qual è il suo modello di calciatore?
«Tifo Roma ed il mio idolo è sempre stato De Rossi, un vero leader».
Come un giorno vorrebbe essere Fortini per il Pietrasanta?
«Certo, mi piacerebbe scrivere qualche bella pagina di storia della squadra della mia città».
Ha mai pensato di poter approdare tra i professionisti?
«Un pensiero l’ho fatto. Provo a dare il massimo per cercare di migliorarmi, poi vedremo».
E se non ci riuscisse ha pensato a cosa farà da grande?
«Mi piacerebbe occuparmi dell’azienda di famiglia (settore dell’abbigliamento ndr) nella quale ho già avuto modo di lavorare».
Come valuta il vostro percorso a metà girone d’andata?
«Credo che meritiamo una classifica migliore di quella occupata».
E come si trova con il burbero Bucci?
«Bene, perché è un allenatore che aiuta molto i giovani ad inserirsi nel contesto di un campionato dai ritmi più alti e di grande fisicità rispetto ai tornei giovanili. Così fa anche il suo secondo Ficagna».