Il Tirreno

Toscana

L’intervista

Rischio dazi-killer per l’export, l’economista: «Così la Toscana sarà penalizzata»

di Federico Lazzotti
Veronica Guerrieri
Veronica Guerrieri

Da Livorno agli States, Veronica Guerrieri è considerata tra i cento studiosi più influenti: «Ecco la mia storia»

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Per ora meglio economista a Chicago – è tra le cento più influenti al mondo – che docente in Italia, magari per tornare più spesso a Livorno, da dove è partita più di vent’anni fa (quasi) per gioco. «Tecnicamente sono nella categoria dei cervelli in fuga, ma non mi sento così. Ormai la mia vita è negli Stati Uniti: lavoro, famiglia, amici. Quando sono nate le bambine, Giulia ed Emma, con mio marito Guido ci abbiamo fatto un pensierino a tornare e qualche porta si era aperta. Non si tratta di una questione economica. È mancata la volontà. Qui stiamo bene anche perché ci sono tante occasioni di confronto e crescita».

Veronica Guerrieri, 48 anni, voce da ragazzina e curriculum da Nobel, ha appena vinto il premio De Sanctis per le Scienze Economiche insieme a due colleghi, ex bocconiani come lei. Consegna del riconoscimento: la sala del ministero intitolata all’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, livornese come lei. Quando si dice le coincidenze. Una settimana dopo la cerimonia è alle prese con i colloqui per scegliere, tra un centinaio di candidati, chi potrebbe seguire le sue orme alla Chicago University, dove insegna dal 2012.

Professoressa, c’è un giorno, un momento, in cui ha capito che non sarebbe tornata indietro?

«Un giorno no, però un momento forse sì. Intorno alla fine del dottorato al Mit di Boston, lì ho capito che avevo preso una strada, un percorso bello e difficile al quale non avrei rinunciato. Il passo successivo è stato quello di venire a Chicago e lì ho davvero capito che non sarei tornata indietro».

Come ci si sente a essere tra i cento economisti più importanti al mondo. Vi confrontate, avete una chat in cui vi scambiate idee, consigli?

«La chat su WhatsApp ancora no, però ci sono tantissime occasioni di incontro per la prolificazione delle idee e il confronto. Negli Stati Uniti, banche centrali, università e associazioni organizzano conferenze e seminari che sono fondamentali nella ricerca».

Qual è il suo piatto forte, il settore nel quale fa la differenza?

«Mi occupo di macroeconomia in generale, in particolare negli ultimi anni ho studiato molto i problemi dei mercati finanziari sull’economia reale. Ho studiato l’inflazione. Sono un’economista che si occupa delle problematiche reali e utilizzo i modelli per capire le politiche fiscali e monetarie migliori. L’altro campo riguarda le disuguaglianze sociali negli Stati Uniti. E come la segregazione aumenti la forbice sociale».

In altre parole chi viene in quartieri poveri resta povero, chi nasce in quartieri ricchi ha più possibilità?

«Esatto. E questo dipende soprattutto dall’offerta scolastica. Ecco perché è importante investire nella didattica: per dare un’opportunità a chi non ha disponibilità economiche. L’augurio è che l’intelligenza artificiale posso aiutare rendendo raggiungibili informazioni e strumenti a chi non li avrebbe».

Un consiglio a chi sogna di fare strada nel mondo come ha fatto lei?

«Di seguire i propri sogni, di non aver paura e di essere coraggioso. Perché nella vita, a volte, si aprono porte che non si immaginano neanche».

A lei è capitato questo?

«Più o meno. Ma la vita l’ho affrontata in modo leggero. E questo forse mi ha tolto pressione. Ma non significa che non mi sia impegnata, diciamo che il caso ci ha messo lo zampino. Nel 1995, uscita dal liceo classico di Livorno, non avevo un’idea chiara di quello che volevo fare come altri miei compagni. Un’amica mi parlò della Bocconi: matematica e scienze sociali messe insieme. Provai il test ed entrai. Dopo la laurea il professore Francesco Giavazzi mi disse che c’era la possibilità di fare il dottorato negli Stati Uniti. E così è cominciato».

A qualcosa ha dovuto rinunciare?

«La cosa più difficile è stata stare lontana dalla mia famiglia. Anche dall’Italia, ma lì vengo spesso, anche l’estate scorsa. I miei genitori sono la rinuncia più importante che ho dovuto fare».

Quando torna a Livorno, la prima cosa che fa?

«Vado sul mare a fare il bagno al Boccale (lungo il Romito, ndr). Chicago è sul lago ma non è la stessa cosa».

Invece il suo primo ricordo?

«L’estate del 1984 quando a Livorno esposero le (false) teste di Modigliani. Andai con mia madre e un taccuino in mano per disegnarle».

Il premio a cui è più affezionata?

«Il “Bernacer prize”, il premio europeo come miglior economista in macro finanza sotto i 40 anni e la “Medaglia Carlo Alberto”».

A casa le servirà una parete?

«Non son il tipo, li tengo tutti in un cassetto».

Parliamo di economia. Con l’elezione di Trump il rischio è il ritorno dei dazi doganali. L’Italia, e in particolare la Toscana, esporta abbigliamento, vino e generi alimentari. A quali rischi andiamo incontro?

«I dazi non faranno bene né all’Italia né al resto del mondo. Il progresso economico sta proprio nella libertà di commerciare. I dazi, invece, li bloccano e riducono le prospettive economiche. Al di là del problema degli Stati Uniti per l’economia europea è un problema di fondo che le esportazioni trovano sempre più concorrenza dai paesi emergenti come la Cina. Ecco perché le prospettive sono preoccupanti».

In Italia si parla della convivenza tra turismo ed economia riguardo anche alla desertificazione dei centri. Esiste un punto di caduta?

«Il turismo è una cosa positiva: porta ricchezza e crescita. Una possibilità per non congestionare i centri con bus e migliaia di persone è mettere un biglietto di accesso come se si trattasse di un museo a cielo aperto».

L’intelligenza artificiale sta cambiando il mondo del lavoro, c’è una ricetta economica per mantenere a galla il sistema?

«L’intelligenza artificiale è una rivoluzione tecnologica come è stato Internet e cambierà la struttura economica dei paesi e l’organizzazione delle imprese. Ma sarà un processo più lento di quello che la gente si aspetta. I modelli dicono che il processo di adozione è graduale, ma nel lungo periodo sono fiduciosa. Ci saranno nuovo tipi di lavoro, nuove necessità: meno colletti bianchi e più badanti, perché l’età media si alzerà e ci saranno più anziani. Certo, nella transizione ci sarà bisogno dell’intervento dello Stato per chi vedrà scomparire il proprio lavoro. La transizione può essere dolorosa. E i vari Stati dovranno aiutare chi viene colpito».

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