Il Tirreno

Firenze

Errori in sanità

Tumore al cervello, ritardi nell’operazione: morta dopo due anni e mezzo di coma. Famiglia risarcita

di Pietro Barghigiani

	L'ospedale di Careggi a Firenze
L'ospedale di Careggi a Firenze

Il Tribunale ha condannato Careggi e Asl a risarcire i familiari della paziente con 1,1 milioni di euro

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FIRENZE. Era un martedì quel 15 maggio 2018, intorno alle 11, quando la Tac del pronto soccorso del Torregalli sentenziò per la paziente che i mal di testa lancinanti capaci di darle il tormento da giorni erano provocati da un meningioma di sei centimetri di diametro.

«Va operata senza perdere tempo», fu il rimedio suggerito dai sanitari dell’ospedale fiorentino che contattarono Careggi per segnalare la gravità del caso. «La operiamo domani», risposero dall’Azienda ospedaliera e universitaria. Se fosse andata davvero così la storia non sarebbe finita in Tribunale.

La donna, 54enne, rimase al pronto soccorso per 82 ore. Niente operazione.

Rimandata a Careggi prima al venerdì e poi, dopo un consulto con i neurochirurghi, addirittura a lunedì 21 maggio. Le condizioni della paziente si aggravarono nella notte del giovedì. Trasferita in tutta fretta a Careggi venne finalmente operata la sera del venerdì.

«Intervento riuscito, ma la signora ha avuto danni cerebrali irreversibili», fu la sintesi del neurochirurgo ai familiari. Restò in coma vigile per due anni e mezzo prima di morire nell’ottobre 2020 in una casa di cura.

Per quei ritardi nell’intervento censurati dal Tribunale e prima ancora dal collegio peritale nominato per capire se ci fossero stato errori nel seguire la donna, l’Azienda ospedaliero universitaria di Careggi e l’Asl Toscana Centro sono state condannate in solido a risarcire con oltre un milione e centomila euro il marito, la figlia e la sorella della vittima di un’inerzia fatale.

«La mancata diagnosi e la mancata consapevolezza della gravità della patologia presente nella signora fin dall’inizio del ricovero in pronto soccorso soprattutto da parte dei neurochirurghi, ne ha pertanto condizionato le scelte per il trasferimento e per programmare l’intervento neurochirurgico, con mantenimento del programma operatorio deciso dal primario il 16 maggio 2018 mattina, in maniera continua e pedissequa senza porre attenzione agli allarmi delle condizioni di salute segnalate dai professionisti sanitari nella mattina del 18 maggio 2018 – scrive il Tribunale – . Si delinea pertanto come evidente una concatenazione di errori interpretativi specifici del caso, da parte del personale di entrambe le strutture sanitarie».

Ma il carico di responsabilità maggiore, stimato dai consulenti nell’80 per cento, viene addebitato «alla decisione dei neurochirurghi di eseguire il trasferimento della paziente a distanza di 3 giorni (18 maggio 2018), per poi programmare l’intervento a distanza di 6 giorni dalla diagnosi (15 maggio arrivo e 21 maggio intervento programmato). Sicuramente il momento e la decisione di quando sottoporre la paziente ad intervento neurochirurgico erano in toto affidati alla decisione degli specialisti in neurochirurgia i quali il giorno 16 maggio decidono autonomamente che il momento del trasferimento è posticipato al 18 maggio, con programma operatorio ulteriormente rinviato al lunedì 21».

Un differimento dell’intervento neurochirurgico che per i periti non trova alcuna giustificazione. E il decesso a distanza di tempo della signora «è da considerare conseguenza diretta delle errate scelte di posticipare l’intervento neurochirurgico di asportazione di un meningioma scompensato e della mancata diligente osservazione della paziente nella fase di osservazione in pronto soccorso».

Tra gravità della patologia, scelte sanitarie e, soprattutto, tempi osservati tra i due presìdi sanitari la conclusione del collegio peritale, accolta in toto dal Tribunale, è che «se l’intervento di asportazione del meningioma fosse stato eseguito entro il programma stabilito inizialmente il martedì 15 maggio 2018, la prognosi della paziente era da considerare certamente favorevole. Il continuo rinvio del trasferimento da parte dei neurochirurghi associato alla mancata sorveglianza neurologica della paziente hanno determinato in modo non egualitario l’esito infausto» condannandola prima al coma e poi alla morte.




 

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