C’è un chirurgo toscano tra i migliori scienziati del mondo: «Vi racconto i miei mille interventi all’anno»
Luca Morelli, pisano, 50 anni, è uno dei chirurghi più esperti dell’ospedale di Cisanello: «L’intelligenza artificiale non sostituirà il nostro lavoro»
È sulla vetta del mondo, eletto come uno dei migliori scienziati dalla Stanford University nella “World’s Top 2% Scientists”, la classifica che riconosce i ricercatori con il maggiore impatto scientifico a livello globale. Pisano, 50 anni, laurea a Pisa, specializzato a Pisa e da vent’anni uno dei chirurghi più esperti di Cisanello, Luca Morelli è l’esempio di quanto provinciale sia la nostra abitudine di guardare all’estero per cercare l’eccellenza anche quando la coltiviamo a un passo da noi. Per la terza volta in carriera, è finito in questo ranking che per gli addetti ai lavori è un po’ come la Champions League della comunità scientifica, fra le migliori 180mila menti del pianeta, selezionato fra il miglior 2% di 9 milioni di luminari presi in esame. La crusca dei cervelli.
Morelli, che cosa significa entrare in quel 2%?
«Uno dei primi parametri di valutazione è determinato dalla frequenza in cui si finisce nel database citazionale della comunità scientifica. Si valuta non solo quante pubblicazioni si hanno all’attivo in carriera ma che impatto hanno avuto sulla ricerca e l’attività degli altri esperti. Più uno viene citato più avrà influenzato la ricerca in un dato settore. Dunque, essere inserito per il terzo anno consecutivo in una posizione così elevata in questo ranking che ha valutato la qualità della ricerca di oltre nove milioni di ricercatori nel mondo, è per me un grande onore, sia per il rigore e il prestigio che caratterizzano la Stanford University, sia per il significato scientifico che questo riconoscimento riveste a livello internazionale».
E che effetto fa?
«No, guardi, questo risultato è il frutto di un impegno corale, che coinvolge la tutta la mia équipe e la collaborazione con numerosi colleghi. Traguardi come questo rappresentano un successo non solo personale, ma per l'università di Pisa e per tutto l'ospedale».
Ha pubblicato 400 articoli e fatto 5mila interventi in carriera. Davvero?
«Il nostro team ne fa un migliaio all’anno. Ad alcuni non partecipo».
Alcuni?
«Tendo a stare in sala operatoria il più possibile, anche se molte altre operazioni sono condotte da colleghi in autonomia. Ma se posso voglio esserci, soprattutto quando si tratta di patologie oncologiche».
In cosa è più bravo?
«Il mio target principale è la chirurgia oncologica addominale: tumori al fegato, al pancreas, alle vie biliari, alle vie digestive, allo stomaco e al colon, poi di chirurgia uro-ginecologica. Tutto con approccio variabile».
In che senso?
«Nel senso che si va dalla chirurgia classica, detta a “cielo aperto”, a quella laparoscopica e robotica. Ho iniziato ad operare con il robot Da Vinci dal 2008 e ho superato da oltre un anno i mille interventi».
Sono di pochi giorni fa le immagini di un chirurgo italiano che operava dalla Francia un paziente in Cina grazie a un robot e a una connessione. Diventeranno la norma?
«È una possibilità che in linea teorica è prevista fin dalla nascita delle chirurgia robotica, dato che il medico interviene dalla consolle. Il problema è sempre stato quello della latenza della trasmissione del segnale. È chiaro che se si è seduti nella sala accanto non c’è questo rischio, adesso con le connessioni sempre più veloci anche questo limite si sta abbattendo, ma non credo diventerà uno standard. In linea di massima, laddove c’è un robot c’è sempre anche un chirurgo esperto in grado di utilizzarlo sul posto».
Ha sempre voluto fare il chirurgo o aveva un’altra passione a cui ha dovuto rinunciare?
«No no, ho scelto questo ai tempi del liceo scientifico. E anche all’università, nonostante mi sia appassionato pure ad altre branche della medicina, alla fine sono andato dritto al mio obiettivo. Il mio mentore è stato il professor Franco Mosca, dopo averlo conosciuto non ho più avuto dubbi. Gli chiesi subito se potevo dare la tesi con lui. A Pisa mi sono laureato e specializzato, nel 2005 sono entrato come ospedaliero e dal 2015 insegno come professore associato».
Mai un’incertezza?
«Prima qualche tentennamento lo avevo avuto, c’erano altri specializzandi che mi sconsigliavano, dicevano che non avrei avuto una vita familiare, che le responsabilità mi avrebbero schiacciato. Cose così».
E come è andata?
«Lavoro tanto, tutta la giornata, mettendo insieme visite, sala operatoria, lezioni. Ma vede, per me vale il detto “fai il lavoro che ti piace e non lavorerai mai un giorno della tua vita”. Starei al lavoro tutto il giorno. Ovviamente cerco di ritagliarmi degli spazi familiari, ho tre figli, e posso dire di avere una famiglia felice».
E lei cosa consiglierebbe a un ragazzo col sogno della chirurgia?
«Di andare avanti e perseguire la propria passione. Non se ne pentirà. Rispetto al passato ci sono perfino più opportunità di crescita e posti».
Anche in Italia dove si continua a tagliare sulla sanità?
«La carenza di personale è un problema. Ma consideri che nelle scuole di specializzazione entrano sempre meno studenti rispetto ai posti disponibili».
Si guadagna bene ad essere nella top mondiale degli scienziati?
«Io non mi lamento, ma non credo che si scelga di fare il chirurgo per soldi, non ci si arricchisce con questa professione. La ricchezza è vedere una persona gravemente ammalata guarire, che torna a casa con le proprie gambe. Dare un’opportunità di vita a una persona con un tumore, questo ci arricchisce».
I chirurghi verranno rottamati dall'intelligenza artificiale?
«Non so che cosa succederà fra 500 anni, ma non credo che vedrò mai un’intelligenza artificiale sostituire un chirurgo. Certo, potrà aiutarci a ridurre gli errori, a perfezionare alcune fasi di un intervento, del resto a volte si tratta di frazioni di secondo, però no, per ora l’AI non ci rottamerà».