Con Elly la Ditta rialza la testa: «Ma qui lei ha vinto solo a metà». Così gli ex parlamentari Ds toscani
Gli ex “compagni” di 20 anni fa si rivedono nelle idee della segretaria: «Il partito è tornato a sinistra, in regione però la scalata al Pd non si vede»
Attenzione, attenzione, attenzione. Si sentono di nuovo in carreggiata. No, nessuno (facciamo quasi nessuno va’) pretende poltrone, ma quantomeno davvero nessuno si percepisce più perduto in un rovello di ricordi e rancori. Guardano Elly e nello specchio vedono un po’ del loro riflesso.
A vent’anni di distanza, credono stia risalendo l’onda, la nave ha virato a sinistra e loro ammirano questa risacca di valori e idee riaffiorare dalle ceneri della rottamazione. Che alla fine quello è stato lo spartiacque. «Mi chiede se rivedo qualcosa nel partito della Schlein dei Ds di allora? Guardi, di errori ne hanno fatti anche i Ds, non solo il Pd, però almeno adesso…». Adesso Marco Filippeschi, ex sindaco di Pisa, ci tiene: «non è che con questo pezzo ci tratti da pensionati, vero? Perché io non mi ci sento». Sì, avete capito, da quando c’è Elly Schlein al timone, sulla schiena di quelli della Ditta scorre un brivido. La ragazza di Occupy Pd che ha scalato il partito e ribaltato i pronostici è diventata una specie di piscina di Cocoon per la vecchia armata giaguara smacchiata da anni e anni di Leopolde. È rispuntata così, per caso, un pomeriggio di settembre. Compagni, reload.
Un amico ci ha inviato una vecchia agendina con i nomi e i numeri di telefono di senatori e deputati Ds eletti diciotto anni fa, anno del signore 2006. In pratica Jurassic Park. Oggi son quasi tutti fra i 60 e gli 80, alcuni anche oltre, molti hanno detto addio alla politica, c’è pure chi in pensione c’è andato davvero. E a guardare quell’elenco, c’è venuto in mente di chiedere proprio a loro come vedano il Pd della segretaria che a febbraio 2023 ha spiazzato i capibastone, sovvertito le previsioni, sbertucciato i sondaggi riprendendosela, la Ditta; chissà se sentano affinità col Nazareno armocromizzato. Chissà se compatiscano o supportino Emiliano Fossi, il segretario regionale venuto dalla Piana che vorrebbe spostare la rotta verso i totem progressisti: acqua pubblica, mercato pussa via, viva sanità e lavoro.
Ecco, sono tutti dell’opinione di Vannino Chiti, all’epoca pure ministro: «Elly ha portato un’inversione culturale e politica, il Pd sta ritornando ad essere centrale nello schieramento progressista e protagonista nella costruzione di una alternativa alla destra. C’è ancora un bel pezzo di strada da fare ma è la strada giusta, l’orizzonte torna ad essere quello pensato al nascere del Pd, proprio in quel 2006». Loro finora erano gli “epurati”, la tradizione azzerata dal lanciafiamme renziano e post-renziano, la classe dirigente rossa spazzata via dai dem nati dalla costola del rottamatore (che ora peraltro ripudiano), erano il vecchio partito pesante sostituito dal partito leggero della Ztl. E in parte questo continua a comandare in Toscana col verbo «neoliberista», che «ha reciso e reso marginali le componenti della sinistra» condannandola a una «sostanziale subalternità ad una visione acritica del mercato e alle ricette della destra», dice l’ex governatore.
Non che con la Schlein i dinosauri della Ditta aspirino a tornare in scena, ma credono di aver ritrovato un palcoscenico per la loro galassia culturale. Intendiamoci, non è un eterno ritorno dell’uguale. «Elly è la figura più preziosa per aprire una nuova fase della sinistra – dice Marisa Nicchi, grossetana trapiantata a Firenze all’epoca deputata che poi invece del Lingotto scelse Vendola – Incarna in modo “contemporaneo” gli ideali di una società più giusta, libera, aperta e in pace, perché intreccia (non contrappone) lotta per i diritti sociali e per i diritti civili e ambientali». Insomma, questa volta la storia della derenzizzazione del partito – la narrazione un po’ balzana con cui erano state raccontate le liste lettiane nel settembre 2022 – sembra essersi compiuta davvero. E non che la leader dem abbia riportato ai posti di comando questi “comunisti perduti”, la rete di salvataggio però ha recuperato le idee. La cesura, neanche a dirlo, è stata Matteo Renzi.
La sua stagione ha strappato le maglie nella rete. E poi, dicono, il Pd ha continuato a sfilacciarsi. «Ha esercitato una leadership autocratica, distrutto l’anima stessa della sinistra – dice l’ex senatrice Vittoria Franco –, esasperato il correntismo, diventato una patologia. Elly è esattamente l’opposto: mentre Matteo governava col conflitto, lei lo fa temperando le visioni, col pluralismo. Per questo è riuscita a risollevarci dal 14% a cui eravamo crollati con Letta e a riportarci oltre il 24%. Ha riavvicinato persone che si erano allontanate, me compresa». E chi all’inizio era dubbioso, adesso s’è convinto ad abbracciarne perfino lo stile: «S’è fatta più chiara, anche nella comunicazione. E il partito finalmente riparla di aree marginali e periferie, dopo anni di dominio delle città metropolitane», dice Raffaella Mariani, ex deputata, oggi sindaca nel suo paese natio, San Romano in Garfagnana.
E così, se per anni neppure un frullo della filiera prodian-dalemian-bersaniana s’è visto nei programmi dei dem e la Ditta pareva un viluppo di memorie, non orto di speranze ma reliquiario, ora «con la Schlein le differenze ci sono, eccome, e mi piacciono», dice Filippeschi. Era un giovane deputato nel 2006, 46 anni. Oggi è il direttore delle Autonomia locali italiane e presiede la commissione statuto del Pd toscano. Ecco, il partito in regione: è l’anello mancante di questa catena (ri)evolutiva. Per paradosso, qui la sterzata schleiniana non è perfettamente compiuta.
«I risultati elettorali sono un primo riscontro della sterzata a sinistra, positivo ma parziale. Per recuperare il consenso degli esclusi, la partecipazione al voto di chi non crede più in niente, c’è ancora molto da fare», continua Filippeschi. «In Toscana l’innovazione in linea con le scelte del congresso va resa più concreta e evidente». Seppure le primarie siano finite 70-30 per Elly, «qui il Pd è ancora vittima di scontri, rivalità, personalismo – dice Vittoria Franco – Sono stata alla festa dell’Unità di Pisa qualche giorno fa, mi è bastato per capire che il renzismo divide ancora, i renziani mica se ne sono andati tutti. E la loro presenza alimenta fratture personali, antipatie, dicotomie fra mondi».
Nessuno si aspetta di vedere il segretario Emiliano Fossi in versione Fahrenheit 451, pronto a impugnare un lanciafiamme sulle prossime liste elettorali e fare tabula rasa dei riformisti, ma neppure che tutto cambi per non cambiare nulla. Così Chiti dice che è «estenuante il dibattito sulla Multiutility» e che affidare al mercato «l’acqua e i servizi pubblici fondamentali per le persone, per la sinistra è un'eresia». E se «un tempo lontano gli equilibri a sinistra vedevano la preminenza del partito sulle istituzioni, e non era giusto, in questi anni si è verificato il contrario: una preminenza indiscussa di sindaci e presidenti di Regione sul partito. Neanche questo è giusto. Serve equilibrio». Insomma, il Pd non può essere commissariato da un partito ombra.
«Guardi – avverte Claudio Franci, ex deputato maremmano – io avevo guardato con diffidenza alla Schlein, ma ora mi pare stia facendo i salti mortali, per contrastare questo governo imbarazzante e per ridare un’identità al Pd. Era diventato solo un partito di governo, fondato sul personalismo e correnti patologiche, ora sono tornati al centro i valori e le idee. Però pensare che si possa fare a meno di gente come Giani mi pare arduo, dove lo ritrovi un radicamento sul territorio come quello del governatore?». Insomma, Ditta keep calm. Che poi il problema sta sempre lì.
«Elly ha indubbiamente rilanciato il partito – dice Valdo Spini, che al Pd avrebbe preferito la vecchia suddivisione dei pani e dei pesci fra post comunisti e socialisti – Ora il problema è costruire un campo riformatore che aggreghi una potenziale maggioranza soprattutto nella società italiana sui temi del rilancio economico e della lotta alle disuguaglianze, della tutela delle classi lavoratrici e dei ceti medi che in varie aree non si sono più sentiti difesi».
Il campo largo, appunto. Non un Ulivo 4.0, ma qualcosa che gli somigli, sperano tutti. Fuorché il professor Massimo Livi Bacci. Lui no, altro che ammucchiate. Sogna ancora l’autosufficienza. «Il Pd – dice – deve recuperare la forza di un coerente partito progressista/riformista, rimettere al centro i temi tradizionali (lavoro, formazione, sanità) e quelli nuovi (ambiente, innovazione). Il campo largo mi richiama esempi del passato falliti (Ulivo e Unione) o disastrosi (la foto di Vasto)». In effetti la foto di Vasto fu vastamente nefasta. «Che il Pd ritrovi coerente personalità, leadership e vada avanti da solo! Inseguire Conte e Renzi, Fratoianni e Calenda è una strategia che porta confusione e allontana il consenso».
Insomma, ci risiamo Elly: rottamiamoli tutti.