Il Tirreno

Toscana

Beni comuni: l’analisi

Tariffe più basse senza affari: dove l’acqua è pubblica conviene. I casi e i costi in Toscana

di Mario Neri

	L'analisi sull'acqua pubblica
L'analisi sull'acqua pubblica

I colossi quotati in borsa fanno ricavi enormi e per le reti idriche possono trarli dalle bollette degli utenti

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FIRENZE. C’è una narrazione quasi incrollabile in Toscana nel dibattito pubblico sulla gestione dei beni comuni e soprattutto dell’acqua: l’idea che affidandosi al mercato e ai grandi gruppi finanziari si spazzino via inefficienze e clientelismo, che i nostri acquedotti colabrodo si salvino grazie agli investimenti dei privati e i cittadini possano pagare bollette meno salate. Un castello di convinzioni che crolla di fronte ai numeri. Basta guardare i dati. Dove ci sono piani industriali e aziende tutte pubbliche le tariffe per i cittadini sono più basse. Così, mentre il traino delle spa dell’acqua in Toscana sono la romana Acea e in alcuni casi l’emiliana Iren, company che macinano miliardi di ricavi e centinaia di milioni di utili ogni anno, il vero modello è Cap Holding, la società in mano a 196 comuni lombardi, 134 dei quali della Città metropolitana di Milano, capoluogo compreso.

I costi

Gli abitanti di Milano, la città con il costo della vita più alto d’Italia a stare alle ultime rilevazioni Istat, possono consolarsi quando arriva la bolletta dell’acqua. Per l’ultima indagine di Altroconsumo, lì costa 89 centesimi al metro cubo, in media la tariffa annua è di 163 euro. Basti dire che a Roma costa più del doppio (377), in Toscana il prezzo è addirittura di oltre quattro volte superiore. Così Siena vanta la bolletta più salata del Paese (810 euro all’anno), la precedono di altre sette nostre province, le più care a livello nazionale: Grosseto (806), Pisa (798), Livorno (783), Arezzo (746), Prato (742), Pistoia (742), Firenze (742). Unica sotto i 600 euro è Lucca (516 euro), anche l’unica con Massa che abbia ancora un gestore tutto pubblico (Gaia). Sotto la Torre e nell’Empolese il gestore è Acque spa, nella Toscana centrale – fra Firenze, Prato e Pistoia – c’è invece Publiacqua. In entrambe fra i soci compare Acea.

Il “must narrativo”

Insomma, domina uno dei gruppi che ha ispirato gli amministratori fautori della Multiutility. Nella plancia di comando della livornese Asa ci sono le quote di Iren, altra icona sbandierata come esempio virtuoso per l’aggregazione. Eppure, finora i colossi non sembrano essere affatto una garanzia per «calmierare» le bollette, un altro must narrativo dei sostenitori della multiservizi. Peccato che a decidere come calcolare le tariffe sia Arera (l’Autority per le energie e l’ambiente), non gli azionisti o i soci dei gestori. Certo, dove ci sono i colossi multiservizi fioccano gli investimenti, dove ci sono i Comuni con i loro magri bilanci invece la speranza di veder migliorare le reti idriche viene meno, si dirà.

Il rapporto

Anche questa è una mezza verità. L’ultimo rapporto Istat sulle perdite delle reti idriche sembra smentire il refrain dei turbocapitalisti dell’oro blu. Se si esclude l’Emilia di Hera, nelle regioni in mano ai big quotati in borsa si registra il tasso di dispersione più alto insieme al Sud: è intorno al 40% in Piemonte e in Veneto, fra il 45 e il 55% nel Lazio, in Campania, Sicilia e Sardegna. Da noi, ha i numeri del Sud la Maremma dell’Acquedotto del Fiora (54,1%), pure lui partecipato da Acea, e superano la media nazionale del 42% Prato (49,4), Massa Carrara (47,7), Firenze (43,4) e Pisa (42,2).

Investimenti

È vero che a Milano la rete idrica è stata risanata negli ultimi venti anni e i costi di prelievo dell’acqua dalle falde sono molto più bassi rispetto a quelli toscani: le sorgenti da cui immetterla nell’acquedotto sono superficiali, e non servono grossi processi di potabilizzazione. Ma per Cap Holding si tratta di servire quasi tre milioni di abitanti. Ecco, per il quinquennio 2024-2028 ha annunciato investimenti per 611 milioni di euro, circa 122 all’anno contabilizzando 268 milioni di ricavi. Publiacqua ne ha messi a bilancio 106 per il 2023 collezionando 309 milioni di ricavi e 99 milioni di utili. E se si misura il contributo di Hera sul suo territorio per le reti idriche il confronto con il pubblico è impietoso. Perché sull’acqua gli emiliani hanno investito 228 milioni a fronte di 417 milioni di utili, aumentati del 2% nonostante un calo del 25% dei ricavi, arrivati a 14 miliardi. Va meglio Acea con oltre 550 milioni di investimenti.

Le tariffe

Ma c’è un però. A determinare la provenienza degli investimenti è una voce semplice: tariffe. Arera lo certifica con l’ultima relazione al parlamento. Nel 2023 i 139 operatori italiani hanno destinato agli investimenti 4,2 miliardi di euro. Di questi, 835 milioni arrivano da finanziamenti pubblici, il resto dalle tasche dei cittadini. È un obbligo di legge. E di fatto rende l’acqua un affare per i privati, perché riduce a zero i rischi d’impresa e garantisce agli azionisti utili enormi. Acea così nel 2023 ha festeggiato dividenti per oltre 187 milioni. Anche Iren ha giubilato per i numeri del bilancio, facendo imbufalire la Cgil in Emilia. «I dati di chiusura annunciati dalla multiutility reggiana – ha scritto il sindacato –, proprio nei giorni in cui una nuova ondata di super bollette arriva agli utenti, appaiono uno schiaffo alle famiglie, soprattutto perché sebbene i fatturati calino del 17%, gli azionisti beneficiano di un dividendo cresciuto dell’8%».

Il libro

Ma in una multiutility quotata in borsa, del resto, a dettare la linea non è l’interesse pubblico, ma gli azionisti. Ogni amministratore delegato ha il dovere legale di fare i loro interessi. E i Comuni non hanno potere di veto. Il professor Alessandro Volpi lo ha ricordato nel suo ultimo libro, I padroni del mondo. Ha calcolato che A2A, altra multiutility quotata in borsa diventata esempio per la nuova esperienza toscana, nel 2021 ha previsto 56 milioni di investimenti distribuendone 250 di dividendi agli azionisti, nemmeno il 20%. È la finanza, molta utility e pure molta ricchezza.

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