Il Tirreno

Toscana

Dillo al direttore
L’intervento

Le promesse tradite alla popolazione afgana da parte dell’Italia


	Laura Boldrini
Laura Boldrini

Presenteremo un’interrogazione

06 luglio 2024
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Ecco le riflessioni dei lettori pubblicate sull’edizione cartacea di giovedì 4 luglio, nella pagina dedicata al filo diretto con il direttore de Il Tirreno, Cristiano Marcacci. “Dillo al direttore” è l’iniziativa che permette alle persone di dialogare direttamente con Cristiano Marcacci, attraverso il canale WhatsApp (366 6612379) e l’indirizzo mail dilloaldirettore@iltirreno.it.

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di Laura Boldrini*

Non dimenticate l'Afghanistan: è questo il monito che da molte piazze si alzò dopo il ritiro dei contingenti occidentali dal Paese e l'avvento del governo dei Talebani. In 20 anni di presenza militare internazionale su quel territorio, l'Italia ha speso 8,7 miliardi di dollari e gli Usa un trilione, ma l'Afghanistan è rimasto senza alcuna autonomia economica e con standard di vita peggiori di prima. Il Paese è in mano a un governo che viola i diritti umani, vieta alle donne perfino di studiare, opprime una popolazione già stremata. Il Comitato diritti umani nel mondo della Camera ha audito alcune ong che lavorano in Afghanistan e le cui denunce non possono lasciarci indifferenti. Soltanto per citare alcuni dati, 23,7 milioni di persone non possono vivere senza aiuti umanitari, l'80% delle afgane e degli afgani vive con un dollaro al giorno e il 20% ha visto morire una persona cara perché non ha avuto accesso alle cure sanitarie.

«Un paese con più kalashnikov che libri di scuola», così è stato descritto. E a subire le conseguenze peggiori sono le donne che vivono quella che l'Onu ha definito "apartheid di genere". In più, i risparmi degli afgani sono stati congelati dagli Usa: si tratta dei soldi delle persone e delle imprese, non del regime. In questa situazione, secondo le associazioni, non si può condizionare il ripristino degli aiuti allo sviluppo alla caduta del regime talebano, a meno di immaginare un'altra guerra per destituirlo. Bisogna aprire dei canali diplomatici perché "parlare non vuol dire legittimare" e per sostenere la parte più dialogante dei talebani: la chiusura attuata finora non ha fatto che rafforzare il regime.

Un quadro drammatico da cui tentavano di scappare molte delle vittime del naufragio di Cutro e i loro familiari. Le testimonianze di Zahra Barati e Gulaqa Jamshidi, due sopravvissuti assistiti dalla "Rete 26 febbraio", sono state un vero e proprio atto di denuncia sulle promesse non mantenute dall'Italia verso il popolo afgano: dalla garanzia che tutti coloro che avevano collaborato con i nostri contingenti in Afghanistan sarebbero stati portati in Italia, all'apertura di corridoi umanitari fino all'impegno preso da Meloni a Palazzo Chigi di concedere il ricongiungimento ai familiari delle vittime di Cutro rimaste in Afghanistan. Niente di tutto questo è accaduto. Così le persone, per mettersi in salvo, sono costrette ad affidarsi ai trafficanti rischiando la vita in mare. Presenteremo un'interrogazione al governo per chiarire quale è la posizione dell'Italia nei confronti dell'Afghanistan, quali misure intenda intraprendere per sostenere la popolazione stremata e tutelarne i diritti, anche ripristinando aiuti allo sviluppo del Paese, come intende dare seguito alle promesse fatte ai superstiti di Cutro, alle loro famiglie e alle famiglie delle vittime e come intenda garantire la protezione internazionale alle afgane e agli afgani in fuga dai talebani.

* deputata e presidente Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel Mondo

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