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Piano dei rifiuti, il governo si schiera contro la Toscana

di Mario Neri
Piano dei rifiuti, il governo si schiera contro la Toscana

I ministeri presentano 21 osservazioni. In totale ne sono arrivate oltre 300: «Deve indicare dove vanno gli impianti, non lasciare tutto ad Ato e privati»

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La contestazione ricorrente punta dritto al cuore del testo appena varato dalla giunta Giani. Ministero dell’Ambiente, ma anche Anci, Confindustria, Alia, privati cittadini, perfino Arpat chiedono alla Regione di rivedere la filosofia con cui Monia Monni ha concepito il Piano che dovrà governare la gestione dei rifiuti in Toscana di qui ai prossimi dieci anni. E cioè l’idea di non costruire una mappa dei siti che ospiteranno gli impianti di smaltimento, ma disegnarla sulla base delle proposte dei privati e della pianificazione di Province e Ato. Di proposte ne sono arrivate 36, otto prevedono maxi impianti, gassificatori, biodigestori ed altre moderne centrali. Anzi, ora sono sette, perché nel frattempo Alia – con una lettera inviata in Regione proprio durante la fase del percorso partecipato – ha ufficializzato il ritiro del progetto per Empoli, un anno fa affossato dall’ex sindaca Brenda Barnini dopo le proteste dei cittadini contrari finite con manifestazioni di piazza.

Il cuore del piano

Ma proprio il potere di indicare la localizzazione delle centrali adesso torna ad essere il nodo principale che emerge dalla pioggia di osservazioni arrivate in questi mesi a Palazzo Strozzi Sacrati al piano dei rifiuti e per l’economia circolare adottato ad autunno scorso e che adesso l’assessora all’Ambiente spera di veder approvato dal Consiglio regionale entro l’estate. Non sarà una passeggiata. Il testo dovrebbe approdare in commissione già la prossima settimana. Ma le osservazioni/contestazioni da esaminare sono una montagna. E puntano a scardinare il piano proprio colpendo uno dei pilastri che lo sorregge.

La montagna di rilievi

In tutto sono 178 i rilievi avanzati da enti, sindacati, categorie o semplici privati cittadini. Altre 126 osservazioni, molto tecniche – spesso respinte o non accolte dalla giunta perché non pertinenti –, le ha formulate direttamente Arpat. Solo il ministero dell’Ambiente ne ha presentate 13, di cui sei accolte; dal ministero della Cultura ne sono giunte altre otto, alcune accolte con controdeduzioni che fissano paletti innovativi per rendere gli impianti sostenibili anche dal punto di vista paesaggistico (vedi articolo sotto). Insomma, il governo, da solo, ha piazzato 21 volte i bastoni tra le ruote del piano che punta entro il 2035 a costruire una rete tecnologica e di raccolta della spazzatura capace di garantire lo smaltimento di più del doppio della produzione toscana di residuo secco dell’indifferenziata, oggi intorno alle 450mila tonnellate, e a raggiungere l’82% di raccolta differenziata e il 65% di riciclo, tutto in linea con gli obiettivi Ue. Anche solo discuterle prima in commissione e poi in aula potrebbe richiedere settimane.

La contestazione

Alcune osservazioni del Mase (ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) sembrano tattiche, elaborate come una sorta di azione di disturbo o sabotaggio. Ce n’è una che chiede una precisazione sui dati di raggiungimento degli obiettivi 2020, un’altra l’aggiornamento dei dati gestionali del 2021. Insomma, fuffa. Ma una, fra quelle accolte, chiede di dettagliare meglio le cifre su quali dovrebbero essere i flussi di rifiuti anno per anno in vista del 2028. E poi c’è la mamma di tutte le osservazioni. Contesta che il «Piano si limita ad individuare un fabbisogno impiantistico complessivo, senza determinare all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali gli impianti necessari per assicurare che la gestione dei rifiuti avvenga in luoghi prossimi a quelli di produzione degli stessi», scrive il Mase, aggiungendo che così la previsione andrebbe contro il Testo unico sull’ambiente.

La risposta

La giunta Giani obietta che la Regione è «competente a definire i criteri» di individuazione delle aree non idonee e idonee ad ospitare impianti di smaltimento, ma la localizzazione spetta alle province e ai Piani di ambito, da presentare 180 giorni dopo il via libera al piano. Non solo. Specifica che la Toscana vuole raggiungere l’autosufficienza a livello di Ato (Autorità d’ambito), senza «sovrastare la normativa e la tutela della libera iniziativa del mercato», perché «il piano regionale offre una nuova prospettiva, di natura industriale». E cioè si è affidata alla «Manifestazione d’interesse» di privati e spa pubbliche, cioè a una sorta di mano invisibile del mercato con cui raggiungere «le finalità di tutela dell'ambiente e di partecipazione al processo generale di transizione ecologica tenendo conto dell’impiantistica esistente e dell’offerta impiantistica di recupero di mercato che si è delineata» attraverso le proposte di privati e aziende. In sostanza, finché il Piano non si completerà attraverso l’intervento dei privati, resteranno attivi inceneritori e discariche esistenti. Ma perché allora la giunta Giani accoglie l’osservazione? Concede al Mase il beneficio del dubbio. Perché laddove aziende dei rifiuti e autorità d’ambito non riuscissero a realizzarne gli obiettivi, «in caso di inerzia o inadempienza», la Regione eserciterà «i poteri sostitutivi nell’approvazione del Piano d’Ambito».

Il bombardamento

Eppure il Mase non è il solo a sollevare la contestazione dell’assenza di una pianificazione regionale che stabilisca numeri e luoghi degli impianti. Lo fa il Comune di Palaia, lo fanno le Asl, lo fa in parte Confindustria, lo fa soprattutto l’Anci. E infine lo fa Alia, perché così, scrive, il piano «non vincola i territori coinvolti né dal punto di vista delle localizzazioni possibili, né dal punto di vista delle tecnologie». E il «rischio è quello che lo scenario programmatico rimanga pura enunciazione di principio». E ancora: «L’avversione dei cittadini ad ogni nuovo impianto è all’origine della tante sindrome Nimby. Per questo riteniamo necessario un coinvolgimento diretto della Regione nella scelta e localizzazione dei nuovi impianti». l
 

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