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Il ricordo

Franchino: l’esordio all’Insomnia, il compleanno show, la frase nel 2000 e una vita di magia. Parla Antonio Velasquez

di Mario Moscadelli

	Franchino all'Insomnia e Antonio Velasquez
Franchino all'Insomnia e Antonio Velasquez

Il direttore artistico della mitica discoteca di Ponsacco racconta bellissimi aneddoti legati al famoso vocalist, scomparso all’età di 71 anni. «Come feci a portarlo via dall’Imperiale? Franco era un uomo lungimirante e pieno di pregi». E si lavora a un evento speciale per ricordarlo

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PONSACCO. La mitica “Divine Stage” dell’Insomnia per tanti anni è stata la sua casa, da quella consolle le sue favole sono diventate famose in tutta Italia e non solo. Perché se l’Imperiale di Tirrenia ha rappresentato il trampolino di lancio, per Franchino la discoteca di Ponsacco ha segnato la consacrazione nei dance floor della musica elettronica. Un’intuizione, quello di farlo “cantare” nella Discoacropoli, firmata da Antonio Velasquez, direttore artistico di quel leggendario tempio della techno.

Come ha conosciuto Franchino?

«Ho conosciuto Franco nel 1990. Ero già coinvolto nel mondo della notte come collaboratore di alcuni locali tra la Val D’Era e Montecatini. Una sera mi recai al Club Imperiale e lì, grazie a una amicizia in comune, feci la sua conoscenza e scambiammo due chiacchiere».

Come è riuscito a strapparlo all’Imperiale e perché gli ha affidato la voce dell’Insomnia?

«Con Franco fin da subito c’è stato un buon feeling. Sebbene all’inizio lui facesse parte del nostro locale concorrente, speso capitava di sentirci e di scambiarci messaggi. Diciamo che il passaggio all’Insomnia in quel momento fu “fisiologico”. La Discoacropoli, infatti, era tra i primi due-tre locali in Italia. Aveva una cassa di risonanza nazionale e Franchino, da persona lungimirante e intelligente quale era capì che, senza nulla togliere all’Imperiale, che l’Insomnia era qualcosa di diverso. Alla fine della stagione 1994/95 ne parlammo: convincerlo, diciamo, non fu difficile».

Com’era Franchino prima di salire in Divine Stage?

«Concentrato. Allegro, solare, empatico: aveva sempre la testa rivolta alla serata. Parlavamo di musica. Analizzavamo le “line up” confrontandoci su chi e come potesse esprimersi meglio o peggio in un orario piuttosto che in un altro. Aveva una parola sempre per tutti. Poi quando entrava in scena, soprattutto negli anni in cui quasi sempre affiancava Ricky Le Roi e Mario Piú, si “trasformava” ed entrava in una totale simbiosi con il sound, riuscendo a trasmettere emozioni indescrivibili».

Aveva dei riti scaramantici?

«Si, ma non si possono raccontare…».

Ci racconta un aneddoto speciale?

«Ne ho due. La prima volta che si esibì all’Insomnia era fine settembre del 1995: non lavorò in Divine Stage ma in Patchwork Place, insieme a Mario Più. Avevo 23 anni e i miei soci erano tutti intorno ai 50: quello “strano” personaggio li incuriosiva. A fine serata uno di loro, Aldo Citi, si avvicinò a me e confessandomi di essere rimasto estasiato dalle favole di quel folletto dai capelli lunghi e neri».

Il secondo?

«Nel giugno del 2000. Volevo rinnovare il parco degli artisti della Discoacropoli e alla fine della riunione annunciai che avevo preso la decisione di interrompere il rapporto lavorativo con tutto il gruppo: Franchino, Ricky Le RoyMario Più, Joy Kitikonti e Sandro Vibot. Franco mi prese in disparte e mi disse una frase che a distanza di 24 anni mi porto ancora dentro: “Mi dispiace tantissimo, avremmo potuto creare insieme ancora moltissime storie».

Una serata con lui all’Insomnia che ricorda in maniera particolare?

«Ce ne sono tante. Una particolare è il suo compleanno. Sabato 17 febbraio 1996. Franchino festeggiava i 43 anni ed organizzammo una vera e propria performance live. Lui vestito in smoking, in piedi sul palco della Divine, accompagnato da due musicisti elettronici: ancora oggi a raccontarlo ho i brividi. Fu uno spettacolo incredibile, il pubblico impazzito. Quella Insomnia è stata forse il top del clubbing italiano».

Il pregio di Franchino?

«La leggerezza, la simpatia, il saper prendere le cose, anche quelle più difficili, con ironia e intelligenza. Era un uomo molto sensibile, anche se non sembrava dava importanza ai dettagli e non gli sfuggiva niente».

Il difetto?

«No, dei difetti non mi va di parlarne adesso. Tutti ne abbiamo, ovvio, ma ora è il tempo di ricordare la grandezza dell’artista e la profondità dell’uomo».

Cosa ha rappresentato per lei Franchino?

«Ha rappresentato il cambiamento. Fino al suo arrivo all’Insomnia non c’erano vocalist. Parlavo io al microfono con Miki e Farfa in Divine oppure con Roby e Tognetti in Patchwork. Ma io non mi sono mai sentito un vocalist. Finita l’era di Miki e Farfa è iniziata quella di Franco, Mario, Ricky, Sandro, Joy e Zicky. Una evoluzione, appunto, di cui sia gli artisti che il locale ne hanno goduto. In quel momento l’Insomnia Discoacropoli d’Italia era il top che poteva esserci e Franco ne era l’emblema».

E per la musica elettronica?

«Penso che abbia rappresentato l’emozione. Intesa come emozione musicale aperta e fruibile da tutti. Ha creato una figura artistica che prima del suo arrivo non esisteva. Attraverso la sua arte è riuscito a trasmettere il messaggio che la musica elettronica underground può essere una favola, una favola che viaggia sopra le nuvole. Semplicemente magico, no?»

State pensando a un evento speciale per ricordarlo?

«Speriamo di si. Io e il mio staff cercheremo di parlare con Leonardo Brogi, il manager di Metempsicosi, il gruppo di artisti nato appunto all’Insomnia e resosi indipendente nel 1997, del quale Franco faceva parte. Ci proveremo e sarebbe bello dedicargli un qualcosa di veramente unico in una location adeguata, da rendere omaggio alla sua grandezza, coinvolgendo i principali artisti e brand del mondo della notte italiano. Intanto sabato prossimo (25 maggio, ndr) abbiamo il nostro evento Insomnia a Calafuria e gli stiamo preparando uno speciale tributo».

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