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Balneari, il governo chiede altro tempo per la mappatura delle spiagge. I dubbi sul concetto di «scarsità della risorsa»

di Giuseppe Boi

	Il Bagno delle donne a Talamone su un tratto di scogliera (foto Enzo Russo)
Il Bagno delle donne a Talamone su un tratto di scogliera (foto Enzo Russo)

La risposta a Bruxelles per la procedura d’infrazione sulla Bolkestein: ancora quattro mesi per completare lo studio e gare rinviate fino al 2025

17 gennaio 2024
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Il governo non cambia linea sui balneari. L’Italia ha inviato a Bruxelles la risposta alle osservazioni formulate dalla Commissione europea nella procedura d’infrazione avviata per la mancata applicazione della direttiva Bolkestein. Consapevole di rischiare uno scontro frontale con l’Unione europea, Giorgia Meloni chiede una proroga a fine 2025 per mettere a bando le concessioni. Tuttavia Palazzo Chigi dichiara anche di voler completare la mappatura delle spiagge disponibili, dalla quale si evincerebbe che non esiste una scarsità di arenili che imponga di mettere a gara le concessioni esistenti. La promessa fatta alla Commissione è di terminare questo lavoro entro quattro mesi. Ma il fatto che sia mantenuta o meno non cambia il dato politico: il governo sposa la linea sostenuta, in particolare, dalla Lega e da Matteo Salvini e si prepara a dare battaglia per una categoria che rappresenta da sempre un bacino elettorale della destra.

«Collaboriamo, ma...»

Nella risposta alla Commissione Ue – contenuta in 17 pagine più una tabella sulla situazione delle singole regioni – si conferma «la piena disponibilità delle competenti autorità nazionali a proseguire il dialogo e la collaborazione con la Commissione europea al fine di addivenire a una declinazione dei criteri di determinazione della scarsità della risorsa, e quindi di riordino del settore, pienamente coerente con il quadro normativo dell’Ue e con la giurisprudenza della Corte di giustizia».

La «scarsità della risorsa»

Traducendo il burocratese, la sostanza è che l’Italia chiede più tempo per definire i criteri che dovranno portare a stabilire cosa si intende per “scarsità della risorsa”. Vale a dire la “quantità” di costa disponibile su cui il governo punta per non far applicare la Bolkestein. La direttiva prevede, infatti, che le concessioni sulle spiagge siano messe a gara se non c’è la possibilità di assegnare nuove licenze. In pratica, se ci sono molte spiagge libere si possono non fare le aste e mantenere lo status quo.

Il tavolo tecnico

Per questo la maggioranza di centrodestra ha affidato a un tavolo tecnico il compito di realizzare una mappatura delle coste. Un lavoro ancora in corso che ha l’obiettivo di individuare «i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale, nella consapevolezza che solo sulla base degli esiti di tale ricognizione, in accordo con la Commissione europea e gli enti territoriali, sarà possibile riordinare in maniera organica e strutturale il settore».

Parametri e polemiche

La mappatura è cominciata lo scorso maggio e di fatto ha già dato un primo risultato. Lo scorso ottobre Palazzo Chigi ha infatti comunicato che, secondo il tavolo tecnico, solo il 33% delle aree demaniali delle coste è in concessione. Con il 67% di aree libere la Bolkestein non si applicherebbe. Ma il risultato è stato messo in dubbio da più parti. In particolare perché nello studio sarebbero stati ricompresi tratti di costa che in realtà sono rocciosi e/o irraggiungibili, al fine di determinare una scarsità della risorse che in realtà non c’è.

Il braccio di ferro

Da qui l’avvio della procedura di infrazione da parte dell’Ue e la marcia indietro del governo sugli esiti del tavolo tecnico. Nella stessa lettera inviata Bruxelles si precisa che l’indicazione del 33% di coste occupate da concessioni è frutto di uno studio «preliminare». Il tutto per giustificare altri quattro mesi per presentare lo studio e rinviare tutte le gare al 2025. 


 

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