Il Papa a Barbiana: «L’esempio di Don Milani possa guidarmi»
Bergoglio sulla tomba del sacerdote : “Una lezione di vita e Vangelo”. Riabilitato il priore scomodo senza fare sconti alla storia: “Questo gesto non cancella le amarezze...”
BARBIANA (FIRENZE). «Ridare ai poveri la parola perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani». Basta un blitz di 27 minuti a papa Francesco per dare un’altra sterzata alla Chiesa e riabilitare la figura di questo prete spedito dalle gerarchie ecclesiastiche in fondo all’ultimo angolo di Mugello: «Più in là di questo potevano mandarmi solo nel buco d’un marrone», diceva don Lorenzo come racconta Nevio Santini, uno dei suoi alunni di allora, spiegando che si riferiva a quelle cavità che si creano all’interno dei castagni tagliati.
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Niente potrebbe riassumere questa giornata meglio della cartolina-evento creata da Renzo Rossetti per conto del Centro formazione intitolato al prete-coraggio nato da una famiglia-bene e diventato simbolo del riscatto dei dannati dell’Appennino: il pontefice mette una mano sulla spalla a don Milani e lo accompagna verso la basilica di San Pietro.
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Il senso sta tutto qui e papa Francesco ha messo tutto il proprio peso sulla bilancia per chiudere una storia di incomprensioni: chiuderebbe gli occhi e il cuore chiunque non volesse ricordare la rivalutazione del cardinale Silvano Piovanelli e il discorso del cardinale Ennio Antonelli nel 40° della morte di Lorenzo Milani. Dunque, a Firenze era già stata sdoganata da anni una nuova visione che aveva riaperto il discorso con il priore controcorrente. Sotto il Cupolone di San Pietro, no: ci penso io, dice Bergoglio in modo esplicito.
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Poteva farlo semplicemente ripescando dall’oblio le virtù di don Milani e facendo scendere un velo di non-detto sugli aspri scontri con le gerarchie ecclesiastiche di allora. Ma non sarebbe Bergoglio: ecco che, senza girarci intorno, il Papa dice che la riabilitazione di adesso «non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani». E aggiunge: «Non si tratta di cancellare la storia o di negarla bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco». Poi il verdetto: nella vita del priore di Barbiana la Chiesa riconosce «un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa». Se qualcuno non avesse ancora capito l’antifona, Bergoglio rincara a braccio prima di andarsene: «Pregate per me perché anch’io prenda esempio da questo bravo prete».
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Bergoglio usa l’implacabile coraggio della mitezza: arriva a Barbiana in elicottero, poi per l’ultimo tratto niente papa-mobile o maxi-jeep bensì una Panda blu con targa vaticana. Qui tutto è rimasto come mezzo secolo fa: banchi, cartine e il motto “I care” (ho a cuore). Ma non c’è aria di muffa stantìa: davanti al papa in uno spazzo erboso della canonica ci sono i compagni di seminario di don Lorenzo e i giovani preti di oggi, gli ex ragazzi della scuola di Barbiana e quelli che oggi devono fare i conti con situazioni difficili.
Il Papa vuol starsene da solo inginocchiato sulla tomba del priore in silenzio a pregare, neanche l’arcivescovo Giuseppe Betori gli si può avvicinare. «Ringrazio il Signore che ci ha dato sacerdoti come don Milani», scriverà il pontefice sul libro delle dediche.
Far ripartire la Chiesa dalle periferie: poteva provarci solo il «papa che viene dalla fine del mondo». Ed è difficile trovare qualcosa di più periferico di Bozzolo, 4mila anime sotto il campanile di Primo Mazzolari, tappa della trasferta di Bergoglio prima di arrivare in Toscana. E soprattutto di Barbiana, niente di più d’un grumo di case.
Il linguaggio del corpo dice che Bergoglio fa un discorso con i piedi. Anzi, con le scarpe. Ci sono quelle da montanaro con cui il parroco di Barbiana chiese di essere seppellito cinquant'anni fa: tanto per camminare in mezzo alla sua gente anche da lassù. Ci sono quelle da nonno qualunque che Jorge Mario Bergoglio, professione pontefice, indossa anche quassù in mezzo alle montagne fra la Toscana e il West: tanto per smarcarsi dal tradizionale identikit papale (Wojtyla escluso) con quelle pantofoline fuori dalla realtà.
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Ma ancor più fuori dalla realtà è l’incantesimo che si vive a Vicchio, il paese più vicino a Barbiana: mica siamo in mezzo al nulla, nell’album di famiglia ci sono superstar come Giotto e Beato Angelico. Difficile però che nei prossimi cent’anni torni qui un pontefice. Ma come si fa se il Papa è sette chilometri più in là? Il miracolo lo fa il maxi-schermo che nella chiesa parrocchiale piazza davanti all’altare le immagini dell’emittente cattolica Tv2000, compreso lo spot del box doccia. Fra le panche c’è tutto il paese o quasi: un migliaio degli ottomila vicchiesi, a cominciare da una folla di ragazzini in frangetta, infradito e allegria.
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E l’idea di farlo santo? Non dispiace al cardinal Gualtiero Bassetti, discepolo di monsignor Ablondi, ex vescovo di Massa Marittima e Piombino, appena chiamato al timone dell’episcopato italiano: lo dice parlando di santità in senso ampio, soprattutto di purezza di cuore.
Invece l’arcivescovo fiorentino Betori respinge al mittente l’idea di aprire un processo di beatificazione. Il motivo? «Anziché farne un santino da impacchettare, accettiamone la provocazione dell’esempio e chiediamoci: qui e oggi, cosa avrebbe fatto don Milani?».
Lo pensa anche Agostino Burberi, anima e vicepresidente della Fondazione don Milani: il priore lo conobbe «quando avevo otto anni ed è stato l’incontro che ha cambiato la mia vita». Per l’ex allievo Nevio Santini invece no: vorrebbe raccontare a tutti che «don Lorenzo non era un musone, sapeva farti sorridere». Poi, con un gruppo che gli inchioda in gola il fiato: «Per me oggi è il giorno della rivincita. Meglio chiamarla riabilitazione? Mi va bene: quello, insomma. Glielo dovevamo tutti al priore».
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