Il Tirreno

Prato

L’intervista

Il procuratore di Prato: «Ecco quello che facciamo per combattere l’escalation criminale»

di Paolo Nencioni

	Il procuratore di Prato Luca Tescaroli nel giorno del suo insediamento
Il procuratore di Prato Luca Tescaroli nel giorno del suo insediamento

Luca Tescaroli ha creato una sezione dedicata alla criminalità cinese e torna a chiedere il potenziamento delle forze dell’ordine e l’assistenza ai lavoratori che denunciano lo sfruttamento

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PRATO. Il procuratore di Prato Luca Tescaroli ha preso possesso del suo ufficio il 10 luglio dell’anno scorso e si è subito trovato in mezzo alla guerra tra bande cinesi. Pochi giorni prima c’era stato il tentato omicidio di Chang Meng Zhang all’interno del night Number One di via Scarlatti che ha dato il via all’escalation criminale; pochi giorni dopo (15 luglio) c’è stato l’incendio che ha distrutto il magazzino di logistica Xin Shun Da in via Nottingham. Dinamiche che Tescaroli conosce bene, non solo per la sua lunga esperienza di magistrato, ma per essere stato procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Firenze. A Prato ha trovato un Palazzo di giustizia che cade letteralmente a pezzi, si è rimboccato le maniche e sta cercando di dare un cambio di passo.

Procuratore, un commento che si sente spesso in città dopo fatti di questo tipo è “Finché si ammazzano tra di loro. . .”. Ora però si spara. Dobbiamo preoccuparci?

«Sì, dobbiamo preoccuparci. L’uso di armi da fuoco non è casuale. Fa parte di un sistema molto pericoloso e sì, c’è il rischio che ci vadano di mezzo anche gli italiani. Non possiamo pensare che certe cose riguardino sempre gli altri. E non ci sono solo i fatti violenti. Penso agli imprenditori onesti. Come si fa a competere con chi sfrutta manodopera a costo zero?»

Dal suo osservatorio privilegiato, cosa sta succedendo in città?

«Succede che c’è un’escalation criminale dal giugno 2024 e che arriva ai giorni nostri, con un inasprimento dall’inizio di quest’anno. Prato è un centro imprenditoriale di notevole importanza, non solo in Italia, e quindi qui si radicano attività criminali molto consistenti. Nella criminalità cinese non c’è un monolite, un gruppo che prevale, ma più gruppi che interagiscono tra loro e stringono rapporti anche con la criminalità italiana».

Dunque che cosa si può fare per contrastare questa escalation?

«In Procura abbiamo creato una sezione dedicata alla criminalità cinese suddivisa in tre gruppi (reati economico-finanziari, reati violenti di strada, immigrazione) con sei magistrati (che sono quasi tutte le risorse su cui Tescaroli può contare, ndr). La specificità del territorio d’altronde è questa. C’è stato un incremento di un certo tipo di reati e quindi la priorità è questa».

Ma ovviamente non basta.

«No. Vanno potenziati gli organici delle forze dell’ordine, il personale amministrativo e bisogna mettere il Tribunale nelle condizioni di poter lavorare. L’ufficio del Gip che conta tre magistrati è in sofferenza. E quando i fascicoli arrivano in Tribunale c’è un effetto imbuto. Aggiungo che gli organici di tutte le forze dell’ordine, in parte scoperti, sono calibrati per una realtà più piccola di quella rappresentata da Prato».

Che idea si è fatto di quello che viene chiamato il “distretto parallelo” cinese?

«Di un distretto dove c’è uno sfruttamento lavorativo crescente. Un sistema economico su plurimi modelli che si intersecano tra loro. Si parte dall’importazione di merce dalla Cina che passa dai porti del Pireo, di Gioia Tauro, dalla Slovenia e dalla Spagna. Una volta arrivata in Ungheria la merce viene inviata a Prato col regime del trasferimento d’imposta e l’evasione dei dazi doganali. Poi entra in gioco il sistema delle aziende “apri e chiudi” che genera l’evasione fiscale. Infine i profitti vengono riportati in Cina tramite diversi canali: denaro contante, criptovalute, bonifici».

Si può fare qualcosa anche per scardinare il sistema dello sfruttamento lavorativo?

«Qualcosa stiamo già facendo. Ci sono una cinquantina di lavoratori pachistani, cinesi e bengalesi che stanno collaborando. Ma l’articolo 18 ter (cioè la concessione del permesso di soggiorno per motivi di giustizia a chi non ce l’ha, ndr) non può bastare. Serve un sistema di assistenza a chi denuncia, modellato sulle norme previste per i collaboratori di giustizia. Serve assicurare l’integrazione economica e giuridica. Serve una casa, assistenza scolastica, assistenza sanitaria. Il muro di omertà sta cadendo anche per i cinesi. E l’importante è far sapere che lo Stato c’è. Ne sono un esempio le operazioni che sono state compiute».

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