Frode fiscale da 71 milioni, scattano i sequestri anche in provincia di Prato – Video
La guardia di finanza nella sede della Acca di Seano, oggetto la scorsa settimana di un attentato incendiario
PRATO. I finanzieri dei Comandi provinciali di Roma e Firenze, su delega della Procura Europea, hanno eseguito oggi, 6 marzo, un decreto di sequestro preventivo, emesso dal giudice per le indagini preliminari di Firenze, finalizzato alla confisca, anche per equivalente, di beni per oltre 71 milioni di euro.
In provincia di Prato una delle società coinvolte è la Acca di Seano, l’azienda di logistica cinese oggetto di un attentato incendiario a metà febbraio nell’ambito della cosiddetta “guerra della logistica”. Stamattina i finanzieri hanno fatto accesso nella sede in via Copernico, nella zona artigianale di Bocca di Stella, e hanno sequestrato documentazione. In provincia di Prato sono coinvolte altre quattro società gestite da imprenditori cinesi.
Il provvedimento riguarda i beni nella disponibilità di 17 persone fisiche (13 di origine cinese e 4 italiana), indagate a vario titolo per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di numerosi reati tributari e all’abusiva attività finanziaria. L’importo oggetto di sequestro è corrispondente all’imposta sul valore aggiunto che sarebbe stata evasa dall’associazione attraverso 29 soggetti economici (con sedi nelle province di Firenze, Prato e Roma) utilizzate per commettere un’ampia frode fiscale nell’importazione di beni dalla Cina.
Il sequestro rappresenta l’epilogo delle investigazioni, dirette dalla Procura Europea capitolina ed eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma e dal 2° Nucleo Operativo Metropolitano di Firenze, dalle quali, spiega la Finanza, è emerso un progetto criminoso orchestrato principalmente da imprenditori di origine cinese perfettamente integrati nel tessuto economico e sociale italiano.
Al vertice della struttura figurava una coppia di coniugi cinesi che, attraverso numerose società e professionisti compiacenti, riusciva a introdurre sul mercato italiano beni di provenienza cinese (capi di abbigliamento, calzature, borse ed accessori vari) immessi in libera pratica in altri Stati membri dell’Unione Europea, in completa evasione
dell’Iva. Il meccanismo di frode si basava sull’abuso del del cosiddetto “regime doganale 42”, che consente l’immissione in libera pratica in uno Stato della Ue, senza il pagamento dei dazi doganali e dell’Iva, dei beni destinati a essere consumati in un altro Stato membro. In concreto, come ricostruito anche attraverso canali di cooperazione attivati dalla Procura Europea in 9 diversi Stati membri, la merce cinese veniva “sdoganata” principalmente in Bulgaria, Ungheria o Grecia, e poi trasferita direttamente negli hub logistici ubicati in Italia, per la successiva commercializzazione. Dal punto di vista documentale, la merce subiva invece varie cessioni intracomunitarie tra operatori fittizi, accompagnate da fatture per operazioni inesistenti.
Al fine di evitare controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria e doganale, le società coinvolte terminavano il loro ciclo vitale in un lasso di tempo molto breve (circa 2 anni), per essere poi sostituite da altri soggetti economici appositamente creati dal sodalizio per proseguire lo schema di frode.
Le attività di indagine hanno, altresì, fatto emergere come l’associazione criminale, sostituendosi agli ordinari canali di intermediazione finanziaria, offrisse alla comunità cinese stabilmente residente nel territorio nazionale, servizi occulti di trasferimento di denaro in madrepatria, previa richiesta di una percentuale sull’importo oggetto di transazione.