Prato, tumore scoperto in ritardo: paziente morta e familiari risarciti con mezzo milione di euro
L’Asl è stata condannata a pagare per la mancata diagnosi nei tempi utili per iniziare una cura che avrebbe potuto allungare la vita a una commerciante deceduta a 58 anni
PRATO. Non aver visto un tumore durante i controlli di routine, dopo l’asportazione di un melanoma, aveva pregiudicato, quasi dimezzandole, le probabilità di sopravvivenza della paziente. Con un ritardo di 22 mesi i medici si accorsero che la neoplasia era tornata e con un’aggressività favorita da due anni di sostanziale inerzia. Nuovi esami, un’operazione, chemioterapie non servirono a rallentare un destino segnato. La donna, una commerciante pratese di 58 anni, si arrese dopo anni di dolore con la consapevolezza di non avere più speranze. Il calvario della paziente ora diventa una condanna dell’Asl a risarcire i familiari con una cifra che supera il mezzo milione di euro per danni patrimoniali e morali.
Il primo intervento
È il luglio 2007 quando la donna si opera per togliere un melanoma scoperto in un braccio. Secondo i consulenti della famiglia già a novembre attraverso le Rx era emersa un’opacità compatibile con una formazione nodulare a un polmone. Passa il tempo e i pensieri non spariscono. Nel giugno 2010 la paziente si sottopone a Tc al torace e a una Pet. «Nonostante sin dal giugno 2010 la formazione nodulare fosse stata accertata in modo chiaro – e nonostante questa apparisse essere compatibile con una formazione cancerogena di tipo maligno, la struttura sanitaria si era limitata al semplice monitoraggio della situazione, cosicché soltanto nel gennaio 2012 venivano disposti esami citologici che confermavano la natura tumorale maligna della formazione» è la premessa della richiesta danni.
La malattia avanza
Dall’esame che avrebbe dovuto svelare il tumore non arrivano diagnosi che avrebbero potuto indirizzare senza indugio le cure mirate per fermare l’avanzare della neoplasia. La situazione si aggrava e dopo un intervento chirurgico e i successivi cicli di chemioterapia la signora muore nell’estate del 2018.
Gli errori
Il giudice Elena Moretti svolge una disamina temporale sulla sequenza citata negli atti. E, condividendo l’esito del collegio peritale, sostiene che «l’inesattezza adempitiva allegata dai familiari della donna ai sanitari è identificabile nell’omessa diagnosi di una patologia tumorale del polmone che parte attrice ritiene fosse rilevabile già dagli esami radiografici del novembre 2007».
La perizia
I consulenti nominati dal giudice sono arrivati alla conclusione che la ritardata diagnosi abbia avuto incidenza diretta sul determinarsi di un aggravio delle condizioni di salute della paziente «che ne ha compromesso le possibilità di sopravvivenza e che ha inciso significativamente sulla qualità della vita della stessa». Dal marzo 2010 alla diagnosi di certezza, gennaio 2012, trascorrono altri 22 mesi con ulteriore presumibile media riduzione della probabilità di sopravvivenza del 45%. Ancora la sentenza: «Questa la precisazione per dirsi compiutamente dimostrata l’inadeguatezza del contegno dell’Azienda sanitaria è il 25 giugno 2010 quando cioè la Pet-Tc ha evidenziato come la piccola area ovalare solida captava il radionuclide nella sede segnalata dalla Tc del 4 giugno 2010».
La sopravvivenza ridotta
Il tema della causa era quella delle probabilità di sopravvivenza se la paziente avesse ricevuto subito i trattamenti necessari a curare la malattia. Il ritardo diagnostico gliele ha dimezzate, accelerando un fine vita che poteva essere evitato. Per il giudice «il locus temporale di concretizzazione dell’evento di danno sia proprio il 25 giugno 2010 (data del referto di Pet positiva) in quanto è in tale momento che coerentemente alla storia clinica della signora (paziente oncologica per precedente melanoma) un segnale di rischio come una Pet positiva avrebbe imposto ai sanitari l’effettuazione di approfondimenti strumentali invero totalmente omessi e la cui mancata effettuazione sino al gennaio 2012 ha riverberato in termini di un 45% di perdita delle possibilità di sopravvivenza a cinque anni oltre alla necessità per la signora di affrontare cure chemioterapiche che, al contrario, non sarebbero state necessarie ove si fosse approfondita la natura della lesione nel giugno 2010».
L’ospedale
Nel corso del giudizio l’Asl, secondo il Tribunale, non ha fornito alcuna prova a sostegno della propria esenzione di responsabilità, «né potendosi ritenere che la diagnosi di non pericolosità della lesione formulata nel 2010 da un professionista riferibile alla azienda ospedaliera di Careggi possa riverberare in termini elusivi dei doveri di vigilanza e di qualificata assistenza dovuti in sede di follow up di paziente oncologica». È la storia di un tumore curato con due anni di ritardo. È il racconto di un supplizio concluso con la morte di una donna di 58 anni. l