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Influenza e file al pronto soccorso: «A Cisanello 250 accessi al giorno»

di Francesco Paletti

	Massimo Santini (foto Fabio Muzzi 2013)
Massimo Santini (foto Fabio Muzzi 2013)

ll direttore Massimo Santini: «Numeri importanti e l’attesa si è prolungata un po’»

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PISA. L’influenza è arrivata. Se ne sono accorti soprattutto al pronto soccorso dell’Ospedale di Cisanello, affollatissimo nelle ultime settimane. «Durante le festività natalizie e di fine anno siamo arrivati anche a più di 250 accessi al giorno, una parte importante dei quali proprio legati al picco delle cosiddette malattie di stagione» conferma il direttore dell’unità operativa di medicina d’urgenza Massimo Santini.

Siete andati in difficoltà?

«Sono numeri sì importanti, ma in linea con le medie degli anni soccorsi. Magari l’attesa, per qualche paziente si è prolungata un po’ di più, ma stiamo riuscendo a rispondere abbastanza bene a questo incremento. Se posso, il problema è un altro».

Quale?

«Quasi sempre da noi arrivano pazienti che necessitano del ricovero: spesso per le condizioni oggettive di gravità, ma a volte anche per l’assenza sul territorio di setting assistenziali che potrebbero permettere di assicurare le prestazioni sanitarie necessarie anche fuori dall’ospedale. Il risultato è che i nostri letti, qui a medicina d’urgenza, sono praticamente sempre sold out, anche se facciamo un buon lavoro e le degenze sono piuttosto brevi».

È una critica all’organizzazione della sanità territoriale?

«Per niente. È una presa d’atto della situazione. Tutte le componenti stanno facendo perfettamente il loro dovere, a cominciare ai medici di famiglia. Il problema è strutturale: la domanda di salute da parte dei cittadini è nettamente superiore all’offerta che si è in grado di assicurare per i problemi, annosi e ben noti, del sistema sanitario nazionale nel suo complesso: dalla mancanza di personale a quella di risorse. In uno scenario del genere, il pronto soccorso rimane una certezza: i cittadini sanno che, venendo da noi, saranno curati. Magari in qualche occasione dovranno armarsi di pazienza, ma alla fine saranno assistiti».

Non c’è, quindi, anche un problema di accessi impropri?

«È tutto relativo. La maggior parte dei pazienti che arrivano da noi, hanno già provato a percorrere altre strade, ma non sono riusciti ad essere assistiti. Consideri che, con riferimento soprattutto al picco influenzale, nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo a che fare con anziani fragili, spesso ultraottantenni, o con altre patologie pregresse molto importanti, come nel caso di chi ha tumori in fase avanzata».

In questi casi, il ricovero è quasi obbligatorio?

«In teoria no. Quanto meno non in tutti i casi. Anzi, sempre, in teoria, con la febbre non sarebbe nemmeno opportuno venire al pronto soccorso: si dovrebbe restare a casa, idratarsi molto e iniziare la terapia dagli antipiretici e non direttamente dagli antibiotici».

In pratica?

«Come detto, si tratta spessissimo di pazienti anziani non autosufficienti o con gravi patologie pregresse. Avrebbero bisogno di un caregiver dedicato ventiquattro ore al giorno o quasi, ma spesso non lo hanno. E nel nostro territorio, se si eccettua l’ospedale di comunità della Misericordia, a Navacchio, alternative al ricovero ospedaliero, non ve ne sono. Magari, in futuro cambierà qualcosa, quando saranno a pieno regime le case della comunità e soprattutto sarà potenziata la sanità territoriale. Intanto, però, spesso il ricovero è l’unica via da percorrere anche quando si tratta di dover mettere una semplice flebo».

E così si riempiono i letti di medicina d’urgenza.

«Sostanzialmente sì. Aggiunga che quest’anno c’è un numero polmoniti elevatissimo, spesso con annesse infezioni batteriche. In questi casi il ricovero è obbligatorio».

Il personale del pronto soccorso è sufficiente anche per fronteggiare il picco di questo periodo?

«Sinceramente non ci possiamo lamentare, anche in confronto ad altre realtà della regione e del Paese. I medici sono in numero sufficiente, forse avremmo bisogno di qualche infermiere in più, ma è una carenza piccola e assolutamente sostenibile».

In generale, i pronto soccorso sono fra i reparti più esposti ad aggressioni, verbali e fisiche. Accade anche da voi?

«In generale sì. E sono anche in leggero aumento. Però è cambiata pure la sensibilità al fenomeno: in passato, sbagliando, si chiudeva più facilmente un occhio. Oggi c’è molta meno tolleranza ed è giusto che sia così». 

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