Il Tirreno

Toscana

Il ricordo

Oliviero Toscani e la sua Toscana tra Casale e Bolgheri: i tre figli, il ranch e i cavalli Appaloosa

di Maria Meini

	Oliviero Toscani
Oliviero Toscani

Dagli anni ’70 aveva casa e studio in un ranch sulle colline della Bassa Val di Cecina

4 MINUTI DI LETTURA





La provocazione intelligente era la cifra di Oliviero Toscani, morto a 82 anni. Che si definiva “anarchico a modo mio”, un’anarchia positiva, gioiosa. E incazzata. Ho di lui un ricordo affettuoso: avevamo un amico in comune, scrittore e terapista di grande valore, Gioacchino Allasia. Chiese a entrambi di scrivere un’introduzione al suo primo libro. Quando morì, Oliviero mi telefonò affranto. «Era davvero una persona buona - mi disse - senza di lui il mondo è più solo».

Anticipatore di tendenze e costume con le sue foto, dalla rivoluzione femminile all’integrazione razziale, Oliviero Toscani ha combattuto le grandi battaglie civili fin dagli anni Settanta, a fianco dei radicali e del suo amico Marco Pannella. I faccioni per Benetton, il nudo anoressico, ma soprattutto quei jeans che fasciano un culo di donna e avvertono "Chi mi ama mi segua". È il 1973. In quegli anni già l’Oliviero aveva scelto di trasferirsi in Toscana. Nella campagna sulle colline della Bassa Val di Cecina, comune di Casale Marittimo, costruisce un ranch in cui alleva cavalli Appaloosa, i cavalli pezzati degli indiani d’America spesso ritratti nelle sue foto, e qui apre il suo studio. Fin dal legame con Benetton. All’epoca Casale era un borgo semisconosciuto, con le sue pietre a vista, di lì a poco sarebbe diventato un luogo vip, scelto da artisti e politici, come il ministro Altero Matteoli.

A Casale, Toscani e la seconda moglie Kirsti Moseng decisero di far nascere e crescere i loro tre figli Rocco, Lola e Ali. Che hanno frequentato le scuole locali, dall’asilo delle suore di San Guido per il quale il fotografo ingaggiò una battaglia per tenerlo aperto. A Bolgheri arrivava spesso a cavallo. I prati e le colline di Casale sono entrati nelle sue foto, così come i volti schietti della gente del posto. Oliviero Toscani non si è mai rinchiuso nel suo “buen ritiro”. La casa, costruita intorno a una grande piazza, era luogo di lavoro e di incontri. E l’Oliviero col suo accento da cumenda è sempre stato parte della vita locale. Interveniva su tanti temi, si rivolgeva spesso al Tirreno, chiamava in redazione a Cecina, scriveva. Negli anni Duemila divenne anche opinionista del giornale, durante la direzione di Sandra Bonsanti. Polemico, a volte irritante, mai banale. Si infervorava contro le “casette a schiera”, contro l’omologazione della provincia. Poi rilanciava con progetti e idee sul turismo e sull’arte. Nei primi anni Duemila aveva cominciato anche a produrre vino. Tante attività nel casale di famiglia, proseguite dal figlio Rocco.

Nel 2023 il Comune di Bibbona gli ha dedicato una mostra antologica. Stava già male, ma partecipò alla inaugurazione, aiutato da una stampella, la voce affievolita.

L’estate scorsa la notizia scioccante: al Corriere della sera dichiarò di essere gravemente malato. E nell’ultima intervista rilasciata al Tirreno, il 28 agosto 2024, disse che non aveva più voglia di niente. «Sono stanco, non mi interessa più la fotografia, io sono uno scrittore. La fotografia ha senso solo se è un’espressione socio-politica. Non mi frega niente dei segaioli del bianco e nero. Oggi tutti possono scattare belle foto, anche con un telefonino. Ma la fotografia ha senso solo se è un’espressione sociopolitica, un messaggio». Messaggio che nel 2021 aveva voluto lanciare su una delle pagine più dolorose della storia toscana: la strage nazista di Sant’Anna di Stazzema. E per quel reportage usò per la prima volta il bianco e nero. Ma già dal 2007 Toscani aveva avviato il progetto “Razza Umana”, girando e ritraendo persone nelle piazze e nelle strade di mezzo mondo. Volti, facce, espressioni.

Anarchico, lo aveva ripetuto più volte nelle interviste al Tirreno. «Eh, non sono quello che spacca le macchine. È un’anarchia da radicale, la mia, contro tutti i regimi. Io sono nato e morirò radicale perché questo è il futuro dell’umanità, quando saremo radicali saremo civili. Adesso tutti cominciano a capire che Marco Pannella aveva ragione nelle sue battaglie, anche nel suo anticomunismo». Negli ultimi tempi aveva sposato la campagna per il fine vita.

La fotografia? Morta. Sentenziava. «Io fischio Mozart e Dalla... non è possibile difendere il copyright, non ci credo. La fotografia non è come la pittura, si ispira a un’immagine e può essere copiata». Detto da un fotografo. «Tutti sanno che quella certa foto l’ho fatta io. Andy Wharol diceva: "Copyright by... ecc ecc". La foto è così, di tutti. Il fotografo moderno è un intellettuale, è un autore che racconta la storia per immagini e deve avere una capacità professionale da scenografo, regista... la macchina fotografica è solo un mezzo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Primo piano
La tragedia

Pescia, muore operaio di 59 anni travolto da un albero: chi è la vittima