Il Tirreno

Il caso

Carrara, molestie alle bariste: condannato carabiniere


	Un'aula di tribunale (foto d'archivio)
Un'aula di tribunale (foto d'archivio)

La Corte d’appello si è pronunciata. Le giovani, di cui una all’epoca minorenne, lavoravano nel bar di famiglia

19 ottobre 2024
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CARRARA. È una sentenza che conferma del tutto o quasi quella di primo grado quella della corte di appello sul caso del carabiniere condannato dal tribunale di Massa per le molestie a quattro giovani dipendenti del bar di famiglia, a Carrara. La pena è stata ridotta solo di quindici giorni, quindi da tre anni a due anni 11 mesi e 15 giorni, perché i giudici hanno ritenuto che il reato di molestie fosse assorbito nel reato di violenza sessuale.

Confermate anche tutte delle sanzioni accessorie quali l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla cura attiva e all’amministrazione di sostegno e da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Confermata infine anche la pronuncia sul risarcimento del danno, come deciso dal primo giudice. Tra le varie contestazioni accusatorie c’è quello di una violenza perpetrata ad una delle parti civili quando aveva solo 16 anni.

I fatti

I fatti risalgono a otto anni fa. Le dipendenti si erano confidate dapprima con lo zio di una di loro, anche lui carabiniere. Avevano parlato di molestie continue. Ma sarebbe stato un episodio a spingerle a parlare anche agli inquirenti. Un pomeriggio, una delle ragazze stava pulendo il wc, quando il militare si sarebbe affacciato sulla porta per usare la toilette. Alla richiesta di attendere qualche minuto lui si sarebbe spogliato. Alle attenzioni morbose si aggiungerebbero poi – secondo l’ipotesi accusatoria – insulti e commenti sgradevoli. Il militare (difeso dall’avvocato Riccardo Balatri), originario della provincia di Massa Carrara ma in servizio all’epoca a La Spezia, è stato condannato in primo grado a tre anni.

La corte d’appello

La corte d’appello di Genova ha confermato la piena attendibilità alla versione delle parti civili, in quanto il loro racconto avrebbe trovato riscontro anche nelle dichiarazioni delle colleghe, non denuncianti, che avrebbero dichiarato di essere state oggetto di attenzioni da parte dell’uomo. La Corte ha ritenuto dunque saldo l’impianto accusatorio, provati gli eventi esattamente come sostenuto dalla Procura di Massa, impianto da sempre avvallato dai difensori delle parti civili, David Giovanni Cappetta e Luca Pezzica, che già in primo grado hanno ritenuto «inverosimile» quanto affermato dall’imputato a sostegno della sua innocenza ovvero che le denunce-querele fossero state presentate per scopi economici a seguito della maturazione di crediti lavorativi non onorati. «Sul punto si osserva che detti crediti fossero di entità minima, considerando il brevissimo periodo di impiego e che una delle tre lavoratrici avesse già ricevuto tutto quanto spettante – fanno sapere i legali –. Inverosimili le critiche mosse nei confronti dell’operato degli organi inquirenti e giudicanti in primo grado, come sostenuto dalla difesa del Sorrentino anche all’udienza in Corte d’Appello». Il caso arriverà comunque in Cassazione.

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