Il Tirreno

La Rigel partì da Marina Su Rai 1 lo scandalo delle navi dei veleni

di David Chiappuella
La Rigel partì da Marina Su Rai 1 lo scandalo delle navi dei veleni

In onda ieri sera il docufilm “Nel nome del popolo italiano” speciale sul capitano De Grazia che indagava sul caso

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CARRARA. «Dal settembre ’87, al largo di Capo Spartivento, c’è la motonave Rigel. Ha fatto naufragio nel ’87 e da allora è lì. La Rigel era partita per il suo ultimo viaggio da Marina di Carrara dove, secondo le accuse formulate dalla magistratura spezzina, è stato corrotto un funzionario doganale per evitare l’ispezione del carico. Dopo l’affondamento l’equipaggio è sparito e non è mai stato nemmeno rintracciato il capitano».

Così il giornalista Oliviero Beha, scomparso lo scorso 13 maggio, ripercorreva uno dei risvolti carraresi del caso delle “navi dei veleni”, almeno nove delle quali, tra il 1986 e il 1988, salparono anche dal porto di Carrara, cariche di rifiuti tossici o radioattivi destinati al Terzo Mondo o affondate dolosamente nel Mediterraneo. L’intervento di Beha, tratto dalla trasmissione “Videozorro”, andata in onda il 22 marzo 1996, è stato inserito nell’ultimo dei quattro docufilm della serie “Nel nome del popolo italiano”, trasmesso ieri sera da Rai 1 e dedicato alla tragedia del capitano di fregata Natale De Grazia (nella foto piccola), ufficiale delle capitanerie di porto medaglia d’oro per meriti investigativi, morto avvelenato il 12 dicembre 1995.

Il militare, su incarico della procura di Reggio Calabria, stava indagando sulle navi dei veleni ed aveva concentrato la sua attenzione proprio sulla Rigel. Sembra che questo cargo maltese trasportasse anche scorie nucleari, nascoste sotto 1.700 tonnellate di granulato di marmo. Il minerale, oltre a schermare la radioattività, avrebbe anche agevolato l’affondamento, grazie al suo peso. L’esatto punto in cui la Rigel si inabissò, però, non è mai stato scoperto.

Nel film su De Grazia, diretto da Wilma Labate e narrato dal giovane attore Lorenzo Richelmy, appare anche lo spezzone di una puntata di “Chi l’ha visto?” del 24 marzo 1996, in cui Giovanna Milella ricorda la sorte di un’altra nave dei veleni salpata dallo scalo apuano. La giornalista, infatti, dopo aver mostrato alcuni documenti forniti dalle assicurazioni Lloyd’s di Londra, afferma che da essi «risulta certo che almeno 25 navi sono affondate attorno alle nostre coste».

Si vede poi una cartina che indica i tragitti seguiti da queste imbarcazioni e i loro punti di affondamento, nella mappa si leggono chiaramente i nomi della Rigel e della Michigan, bastimento italiano partito anch’esso da Carrara ed affondato davanti alle coste calabresi il 31 ottobre 1986. «Far sparire una nave con scorie tossiche e nocive - spiegava la Milella - può rendere anche diverse decine di miliardi di lire».

Il docufilm trasmesso ieri sera da Rai 1 contiene poi diverse interviste interessanti, tra cui quelle rilasciate dal giudice Francesco Neri, all’epoca sostituto procuratore di Reggio Calabria ed oggi consigliere della Corte d’appello di Roma. Altra testimonianza sulla vicenda è quella del giornalista del settimanale “Espresso” Riccardo Bocca, autore del libro “Le navi della vergogna” (uscito nel 2010 per edizioni Bur Rizzoli). Secondo Bocca lo Stato italiano non avrebbe avuto reale interesse a cercare i relitti di queste navi, ed il ristretto nucleo investigativo di cui faceva parte De Grazia dovette operare tra mille difficoltà e con mezzi assai limitati.

E questo viene confermato dal giudice Neri, che riferisce davanti alla telecamera di fatti piuttosto inquietanti. «Il nostro pool investigativo - racconta il magistrato - fu pedinato in diverse occasioni. A Savona ci seguirono con delle radioline. Il procuratore di quella città acquisì anche intercettazioni telefoniche in cui si parlava di ucciderci. Fummo minacciati a Lamezia Terme, all’aeroporto di Roma e a Roma stessa. Una volta - prosegue Neri nel suo ricordo di quei giorni - i nostri passaporti scomparvero per più di mezzora. Sono tutti episodi che abbiamo regolarmente segnalato, fornendo numeri di targa ed altri particolari. Nessuno, però, ha mai preso provvedimenti”.

Il capitano di fregata Natale De Grazia morì improvvisamente sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, a 39 anni non ancora compiuti, dopo aver cenato in un ristorante di Campagna (Salerno). L’investigatore si stava recando insieme a due carabinieri a La Spezia, per indagare sulla nave russa Latvia, già appartenuta al Kgb (l’agenzia di intelligence sovietica), che era in quei giorni in partenza dal porto della città ligure. Il carico di questa imbarcazione era così sospetto che, una volta preso il largo, fu ordinato a due sottomarini di seguirla e non perderla di vista. Ma se la lasciarono sfuggire. Due diverse autopsie, affidate alla stessa dottoressa, stabilirono che De Grazia aveva un cuore debole e che la sua morte era da imputare a cause naturali.

E per riconoscerlo ufficialmente come “vittima del dovere”, si è dovuto attendere il mese di febbraio 2013, quando la commissione parlamentare di inchiesta sul traffico illecito dei rifiuti ha stabilito che egli morì per “causa tossica”.

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