Il Tirreno

Carrara, muore di leucemia a 28 anni

di Alessandra Vivoli
Carrara, muore di leucemia a 28 anni

Era uno dei bambino di Chernobyl adottato 20 anni fa da una famiglia carrarese. Una storia toccante

20 settembre 2014
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CARRARA. A Chernobyl aveva vissuto l’inferno. A Carrara aveva trovato il paradiso: una mamma e una famiglia che lo adoravano e Consuelo, l’amore della sua vita. Ma quella centrale atomica, esplosa quattro mesi dopo la sua nascita, nell’aprile del 1986, alla fine gli ha presentato il conto. Le radiazioni erano arrivate anche nella sperduta campagna di Pinsk dove aveva vissuto per otto anni con i suoi sette fratelli. E avevano minato, per sempre, la sua salute. Kot Vitalj (Vitali come lo chiama la mamma carrarese) è stato bene per ventisei anni. Poi si è ammalato, proprio mentre studiava per laurearsi in enologia e viticoltura alla facoltà di Agraria.

La leucemia lo ha stroncato a 28 anni: è morto fra le braccia della sua mamma di Carrara, Franca, e della fidanzata Consuelo.

A raccontare Vitali oggi è mamma Franca, appena rientrata a casa dopo aver dato l’addio al figlio, al cimitero di Turigliano. È una donna forte Franca Galleni, 70 anni, insegnante in pensione, fondatrice del progetto Chernobyl.

Lei vuole che del suo “figlio saggio” resti un bel ricordo: «Perché se lo merita, perché questi vent’anni con lui sono stati splendidi ».

Mamma Franca vuole anche lasciare un messaggio e che la gente capisca: «Questi ragazzi che arrivano dalla Bielorussia spesso hanno un carattere difficile - dice - e ce lo avevano ancora di più quelli che hanno cominciato a venire da noi vent’anni fa. Ma è Chernobyl che ha portato la devastazione, sono la povertà e le difficoltà che questi bambini li hanno induriti. Io lo ripeto spesso, se non gli levi la buccia non puoi capire di quanto dolcezza, di quanto amore sono capaci. Io ho avuto da Vitali un regalo bellissimo, ma è durato poco, solo vent’anni».

Mamma Franca ha voglia di raccontare tutto, dall’inizio.

«Il progetto Chernobyl è nato per caso, vent’anni fa - comincia - facevo parte dell’Associazione ricreativa culturale di Fossone, tante sagre, qualche iniziativa estiva, meno in inverno. Un giorno in autobus ho letto di questi bambini bielorussi che venivano portati per le vacanze in Italia. È stata una folgorazione. Appena arrivata a scuola dissi alla mia collega, Paola Bordigoni: “Perché non lo facciamo anche noi?” Da qui, grazie anche alla collaborazione con il Comune, è partito tutto. Con la novità di un progetto misto: i bambini erano affidati alle famiglie, ma andavano anche a scuola».

«Io me lo ricordo ancora quando è arrivato Vitali- dice - Non dimostrava otto anni, era piccolo, minuto aveva gli occhi furbi, ma spaventati. È stato amore a prima vista, ci siamo scelti. Finita l’estate è tornato a casa. Ma lui, là non riusciva a dormire. Noi, qui, andavamo avanti a Valeriana. La seconda estate io e mio marito gli abbiamo detto: guarda che quest’inverno veniamo a prenderti. Non dimenticherò mai il suo faccino triste. Era la faccia di un adulto, Vitali, poi me lo ha raccontato, non ci aveva creduto».

Ma Franca e il marito Giorgio a prendere il loro bambino ci sono andati, proprio l’inverno dell’anno seguente.

«Mio marito aveva portato la macchina fotografica, voleva scattare tante foto, come si fa durante i viaggi: ricordo che non l’ha mai tirata fuori dalla custodia. Quella povertà, quella desolazione ci hanno lasciato senza respiro. Da fotografare non c’era proprio niente».

«Quando Vitali ci ha visto aveva addosso la tuta che gli avevamo regalato e che teneva con cura, come un oracolo - ricorda Franca - Voleva correrci incontro, ma si guardavo intorno, quasi si vergognasse della sua povertà, di quelle quattro case di legno che lo circondavano». Vitali allora - racconta Franca - dormiva nel fienile, la sua baita di legno era andata a fuoco. La madre aveva 28 anni, il padre 34 e otto bocche da sfamare. I genitori bielorussi hanno dato il consenso a farlo venire a Carrara, da Franca e dalla sua famiglia: «Ma non me l’ha portato la cicogna, è giusto che si sappia che lui una madre e un padre ce li aveva anche a Pinsk» . M al suo paese Vitali non è mai voluto ritornare. Da quel rigido inverno di vent’anni fa, in cui è arrivato a Carrara, è diventato per Franca e il marito un figlio, proprio come Alessandro e Francesca. «Dormiva in mezzo al letto fra me e mio marito, tutto rattrappito, a faccia in giù- ricorda con affetto Franca - era spaventato da tutto. All’inizio è stata dura. Il mio figlio si portava dentro tanti fantasmi, gli stessi che due anni fa sono tornati fuori, tutti insieme e gli hanno portato via la gioventù». La malattia di Vitali è arrivata all’improvviso, proprio quando, dopo aver frequentato l’istituto agrario di Soliera, stava per laurearsi in enologia e viticultura all’università di Pisa. La diagnosi è stata devastante: la salute del giovane era minata. I “fantasmi” di Chernobyl erano tornati. Sono stati due anni di malattia che Vitali ha affrontato con la grinta da leone: «Lui ci dava la forza a me e alla sua Consuelo che non lo ha lasciato mai, nemmeno un attimo».

«È stato un figliolo come tutti, glielo ho detto anche prima, al cimitero- racconta Franca - Mi ha dato gioie, dolori e preoccupazioni, ma era il mio figlio saggio. Un bambino che non aveva niente, ma che come primo regalo ci chiese una motosega per spaccare la legna. Sapeva fare tutto, e non si tirava mai indietro. A casa sua, a Pinsk, a otto anni governava i maiali e i conigli e piangeva quando li portavano al mercato. Qui a Carrara, in vent’anni, non ha mai voluto nemmeno assaggiarlo il coniglio».

Mamma Franca ha tanti ricordi del suo “figlio saggio”: «Ma quello che mi rimarrà dentro sono i suoi occhi, quando ci siamo abbracciati in quella campagna desolata, quando ha capito che lo stavamo portando con noi a Carrara me che non lo avremmo mai più lasciato solo».

E così è stato. Nel giorno dell’addio a Vitali per Franca è anche il momento dei ringraziamenti.

«Un grazie va a tutto il reparto di Oncologia e in particolare alla dottoressa Mariangela Pedata, per la sensibilità, la grande umanità che hanno reso questi mesi meno terribili. E anche all’amministrazione dell’ospedale che si è occupata di tutta la documentazione necessaria per poter seppellire nostro figlio qui a Carrara».

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