Omicidio di Viareggio, cosa è successo quella notte: il furto, l'investimento mortale e il caso dell'ombrello
Cinzia Dal Pino, l’imprenditrice che ha ucciso il rapinatore, è agli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico. Cosa è emerso dall’interrogatorio davanti al gip
LUCCA. Arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico per controllare il rispetto della misura per l’imprenditrice balneare uscita ieri dal carcere Don Bosco di Pisa al termine dell’udienza di convalida protrattasi per circa un’ora e mezzo. Cinzia Dal Pino, 65 anni, commercialista, proveniente da una storica famiglia di balneari (i genitori avevano il bagno Amedea in Passeggiata) e titolare del bagno Milano a Viareggio, ora è imputata di omicidio volontario per aver investito più volte con la sua Mercedes bianca l’algerino Said Malkoun, 47 anni, l’uomo che cinque minuti prima in via Coppino fuori dal ristorante “da Miro” l’aveva minacciata di morte sottraendole la borsa contenente le chiavi di casa, documenti, agenda con indirizzi, carte di credito e denaro.
L’interrogatorio del gip
Sono le 11,30 quando il giudice delle indagini preliminari Alessandro Trinci varca il portone dell’istituto penitenziario per interrogare, nella sezione femminile, l’imprenditrice viareggina sottoposta lunedì sera a fermo di polizia giudiziaria. Tra le carte del giudice c’è la richiesta del sostituto procuratore Sara Polino di mantenere una misura cautelare nei confronti della donna. È prostrata Cinzia Dal Pino. Svuotata, depressa, ancora sotto choc per l’accaduto. Lo rivela il suo legale, il professor Enrico Marzaduri, che la assiste nel corso dell’interrogatorio di garanzia che dura sino alle 13.
Minacciata di morte
La donna non si avvale della facoltà di non rispondere. Racconta al giudice la sua verità. «Non volevo ucciderlo», ripete spesso in maniera ossessiva durante l’esame a cui la sottopone il giudice delle indagini preliminari. Tutto avviene nello spazio di cinque minuti. Cinzia Dal Pino è a cena con un gruppo di amiche e amici nel locale in Darsena. Verso le 23 esce e s’incammina da sola verso la macchina. Appoggia la borsa sul sedile anteriore e non fa in tempo a girare la chiave nel cruscotto che un uomo apre la portiera, afferra per il manico la sacca e minaccia la donna d’affari di tirar fuori il coltello (che l’homeless algerino non ha in tasca e al momento non è stato trovato dalla polizia) e ammazzarla se si fosse ribellata. Il trauma è forte e la inchioda al volante. È terrorizzata, sconvolta, stordita. Ma di lì a pochi minuti è preda di un raptus cerebrale, di una sorta di corto circuito che sfocia in una violenza inaudita. Anziché avvertire le forze dell’ordine (carabinieri e polizia) con l’auto insegue il malvivente. Lo trova poco lontano, all’altezza della ditta Cantalupi, e lo investe schiacciandolo contro la vetrina. Non una volta, come dimostrano le immagini della telecamera che riprende l’agghiacciante scena, ma almeno quattro volte causando danni ingenti anche alla parte anteriore del cofano della Mercedes.
Per poi uscire dall’abitacolo, riprendersi la borsa, risalire in macchina e allontanarsi nell’oscurità senza soccorrere il posteggiatore abusivo che morirà il mattino successivo in ospedale dopo essere stato soccorso, già agonizzante, da una coppia che transitava nella zona. «Avevo il terrore che utilizzassero le chiavi di casa, i documenti, le carte e gli altri oggetti per commettere altri reati e dovevo a tutti i costi recuperare la borsa», le parole dell’imprenditrice durante l’interrogatorio del giudice in carcere. Dopo essersi ripresa la borsa, la donna non torna subito a casa. Ma in auto si dirige verso il ristorante per riconsegnare l’ombrello che gli era stato prestato e dal finestrino lo consegna a una cameriera che si trova fuori dal locale. Di solito la notte porta consiglio e magari al mattino, prima di trovare gli agenti nel quartiere in cui vive, la titolare del bagno Milano aveva la possibilità di costituirsi recandosi al commissariato in compagnia del suo legale. Non lo ha fatto o non ha avuto il tempo di farlo.
L’autopsia su Malkoun
Al termine del racconto il gip, dopo essere tornato nel suo ufficio a Lucca, impiega poco più di un’ora per scrivere la sua decisione. Il fermo non viene convalidato per mancanza del pericolo di fuga con gli atti che tornano al Pm, ma applica la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico come richiesto dall’accusa mentre la difesa aveva richiesto provvedimenti alternativi (obbligo di firma o di dimora) e solo in via estrema la misura detentiva. Intanto le indagini proseguono. Oggi pomeriggio all’obitorio dell’ex Campo di Marte di Lucca il medico legale Stefano Pierotti – che riceverà in mattinata il conferimento dell’incarico dall’ufficio del pubblico ministero – eseguirà l’autopsia sul cadavere di Malkoun in modo da stabilire con esattezza quali siano le lesioni che gli hanno procurato il decesso. Contestualmente la procura ha attivato l’ambasciata italiana in Algeria per informare i parenti della vittima che adesso possono costituirsi parte civile nel procedimento penale.