Il Tirreno

Livorno

La sentenza

Livorno, uccise il padre di 57 anni a Colline: ridotta la pena a 12 anni

di Stefano Taglione

	Leonardo Banti (foto Silvi)
Leonardo Banti (foto Silvi)

Leonardo Banti accoltellò a morte il babbo Fabrizio, di 57 anni. La corte d’assise d’appello ha ribadito il vizio parziale di mente

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LIVORNO. È stato condannato a 12 anni di reclusione per aver ucciso il padre con una coltellata. È stato ribadito il vizio parziale di mente, con la concessione delle attenuanti generiche, per il venticinquenne Leonardo Banti, il giovane che nella notte fra il 2 e il 3 febbraio di due anni fa ha tolto la vita al babbo cinquantasettenne Fabrizio, ex socio della Baracchina bianca e in passato vicepresidente del circolo “Off Side” di Ospedaletto, a Pisa, dopo una lite avvenuta cinque ore prima nel loro appartamento di via Paganini, a Colline. Ieri mattina la corte d’assise d’appello di Firenze, presieduta dal giudice Alessandro Nencini, ha ridotto la condanna di tre anni, a 12 appunto, accogliendo la richiesta dell’avvocata Barbara Luceri. Per il giovane, presente in aula, il procuratore generale Ettore Squillace Greco (a Livorno all’epoca del delitto) aveva chiesto la conferma della pronuncia inflitta lo scorso aprile dal collegio labronico.

Le tre perizie

Che Banti avesse ucciso suo padre non vi è mai stato alcun dubbio. I carabinieri, la notte stessa, lo avevano arrestato il flagranza di reato dopo che era scappato di casa e si voleva suicidare. L’incertezza, a livello processuale, verteva solo sulla capacità di intendere e di volere del venticinquenne al momento della tragedia, dato che il consulente del pubblico ministero Niccolò Volpe, Rolando Paterniti, al contrario del collega incaricato per lo stesso esame medico-legale dalla difesa, Enrico Malotti, riteneva che quando avesse ucciso il padre Banti fosse lucido. La corte d’assise labronica, per disporre di un ulteriore parere, aveva quindi nominato un proprio consulente, Massimo Marchi, che per il giovane ha ravvisato un «disturbo schizoide della personalità con elementi interpretativi abnormi», ritenendolo allo stesso tempo «socialmente pericoloso e bisognoso di cure». Per questo, a fine pena, dovrà comunque trascorrere tre anni in una Rems, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Il tribunale ha inoltre reso il giovane indegno della successione del padre, interdendolo in perpetuo dai pubblici uffici.

La ricostruzione

Fabrizio Banti, quella notte, venne colpito dal fendente mortale sotto l’ascella sinistra mentre si trovava sul letto e poi, con un’altra coltellata, alla gola, quest’ultimo probabilmente mentre il figlio stava riportando a sé l’arma bianca. Dopodiché, in fuga dall’abitazione, Leonardo ha chiamato un amico, il quale ha subito avvertito il 112, con un carabiniere della centrale operativa di viale Fabbricotti che è riuscito a salvarlo dalle intenzioni suicide (si era tagliato pure le vene, nel frattempo) scoprendo che si trovava nei giardinetti di via Torino, non lontano dal supermercato Esselunga.

Le testimonianze

«Ho ucciso mio babbo con una pugnalata e poi volevo togliermi la vita e fare il testamento», furono le parole del venticinquenne al 112, raccontate in aula durante il processo di primo grado dallo stesso militare dell’Arma che era riuscito, in quei drammatici istanti dopo l’omicidio e prima del fermo, a mettersi in contatto col giovane. «Quando gli ho domandato il motivo mi ha spiegato che lui (il padre ndr) gli aveva detto che doveva andare via, che doveva allontanarsi», queste invece le parole pronunciate in aula dalla madre di Leonardo, Annalisa Lorenzini, ascoltata dalla corte d’assise sempre in veste di testimone. La donna, già nei giorni successivi alla tragedia, ha sempre difeso il figlio, con cui non conviveva in quanto era da tempo separata dalla vittima. Nel corso delle indagini, al pm, Banti aveva raccontato di essere vessato dal padre, che lo insultava anche dicendogli «Sei un ciccione». Umiliandolo, a suo avviso. Così come avvenuto il pomeriggio prima della tragedia. Il movente risiederebbe quindi sia nella presunta volontà del babbo di allontanarlo da casa, sia nelle vessazioni che il giovane avrebbe subito nel tempo. 

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